A Sanremo Zelensky, alla Flai Moni Ovadia

Il Sanremo Flai è diverso. Mentre al Teatro Ariston e nelle case degli italiani viene diffuso il messaggio del presidente ucraino Zelensky, al congresso del sindacato dell’agroindustria Moni Ovadia le ha cantate alla follia della guerra. Di fronte a chi parla di armi come si parla di calcio al bar, a chi continua a dire di andare avanti “fino alla vittoria finale”, l’artista errante nato 77 anni in una Bulgaria che dette la cittadinanza a tutte le famiglie ebraiche in fuga dall’orrore nazista, ha ricordato agli smemorati e ai distratti che solo la pace, l’uguaglianza e la fratellanza fra i popoli possono fare argine alla pazzia delle armi. “Noi continueremo a dire no a tutte le guerre – scandisce Ovadia – e a quelli che si scandalizzano per l’Ucraina, chiedo dove fossero quando c’era la guerra in Iraq, in Afghanistan. Cosa dicono per il macello dei Curdi, strumentalizzati per combattere l’Isis e poi lasciati a se stessi? In Yemen c’è una guerra sanguinosa da anni, con la gente che muore di fame, e questo accade con le armi dell’Occidente che vengono date all’Arabia Saudita. Sono buffoni, oltre che delinquenti. Io ho accolto quattro profughe ucraine ma non mi hanno lasciato accogliere i siriani, quelli li hanno blindati in Turchia. E questo è razzismo, si chiama razzismo”. Sono applausi, scroscianti. “Io putiniano? Nella Russia di Putin sarei in galera, perché se vivessi a Mosca protesterei contro i diktat anti-omosessualità del governo. E non si può dimenticare che Putin guida un paese basato su grandi oligarchie. Ma anche in Ucraina c’è la stessa situazione, così come in un Occidente, dove gli oligarchi si chiamano Musk, Gates, Besos. Ma da noi fa più chic non chiamarli per quello che sono”. Delegate e delegati Flai saranno in piazza alle iniziative pacifiste del 24 e 25 febbraio prossimi lungo l’intera penisola. A loro si è rivolto Ovadia. A chi vuole restare umano: “Noi continueremo a dire no a tutte le guerre”. E come recita un antico proverbio africano, ‘se le formiche si mettono d’accordo, possono spostare un elefante’.

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