Nel nome di Jerry Masslo

“[…] Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un’accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi. Invece sono deluso. Avere la pelle nera in questo Paese è un limite alla convivenza civile. Il razzismo c’è anche qui: è fatto di prepotenze, di soprusi, di violenze quotidiane con chi non chiede altro che solidarietà e rispetto. Noi del Terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro Paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo”.

Si è conclusa a fine maggio la VI edizione del premio dedicato a Jerry Essan Masslo che la Flai Cgil nazionale dal 2010 organizza con cadenza biennale. Il Premio, rivolto per lo più alle scuole di ogni ordine e grado,rappresenta un’occasione per riflettere sui temi dell’accoglienza, dell’integrazione e della convivenza civile, per incoraggiare al dialogo e promuovere lo sviluppo di una società fondata sul rispetto della diversità.

C’è la necessità di continuare a ricordare perché «la memoria di Masslo – spiega il nostro segretario generale Mininni – deve essere una spinta a promuovere una società inclusiva e accogliente. Non è possibile che le migliaia di donne, uomini e bambini che per avere una vita e un futuro migliori bussano alle porte della Fortezza Europa si trovino di fronte altri pericoli dopo i loro viaggi della speranza. Chi ce la fa può finire dietro le sbarre dei centri di detenzione, senza colpa alcuna se non quella di cercare riscatto a una vita di stenti. La politica mostra il suo volto peggiore, la destra al governo ma anche le troppe timidezze di una sinistra che in anni di governo non ha mai abolito la Bossi-Fini e non ha approvato lo ius soli, facendo propaganda sulla pelle dei migranti, giudicati solo come un problema e non come un’opportunità».

Ripercorriamo insieme cosa accadde subito dopo l’assassinio di Masslo. Su L’Unità troviamo le parole agghiaccianti dei testimoni: «Il povero Jerry non ha accennato nemmeno ad una reazione quando i banditi si sono avvicinati armati. È solo indietreggiato di qualche passo. Quello che ha sparato ha gridato “sporco negro io ti ammazzo”». E ancora «Forse erano solo dei briganti. Ma quei colpi sparati al torace di Jerry li hanno fatti partire perché in quel momento davanti ai loro occhi avevano visto un animale».

Un episodio gravissimo, come denunciano da subito la Flai e la Cgil, che «è solo l’ultimo di una serie di manifestazioni di intolleranza e di razzismo» e che richiede un intervento concreto anche da parte del governo per arginare questa terribile escalation.

A Caserta viene ritrovato anche un volantino che recita «Comincia la caccia permanente al negro», ma c’è qualcuno – tra inquirenti e amministratori – che prova a minimizzare. «Qui è come se ci fosse un vulcano che dorme. È vero, tanti liternesi in chiesa, al cimitero, poi, dietro la bara di Jerry – è il commento di Isidoro Mobeylongo Iengo, zairese, subito dopo i funerali di Jerry Masslo – ma la mentalità non cambia in un giorno… ci sono anche quelli che pensano “tutto questo casino per un negro”, e che oggi, il giorno del funerale, stanno buoni e zitti».

Tutta la città di Villa Literno è frustrata, umiliata dalla televisione, dai giornali che hanno scoperto questo anonimo borgo agricolo, con tanti problemi, solo per associarlo alla parola razzismo.

Subito dopo l’assassinio di Jerry Masslo, i 4.000 lavoratori migranti che la mattina andavano sulla rotonda non ci sono più, si sono spostati in Puglia, non solo perché la raccolta del pomodoro è finita, ma per la paura dopo il terribile delitto. «L’assassinio del giovane sudafricano Jerry Essan Masslo – così Matilde Raspini, dirigente nazionale Flai Cgil in quegli anni, in una nota pubblicata nel mensile Verde Rosso della categoria – ucciso da balordi violenti e razzisti il 24 agosto a Villa Literno ha risvegliato l’interesse delle forze politiche e sociali, dei mezzi di informazione e del sindacato. Solo dopo la morte di Jerry abbiamo tutti “scoperto” cose che in gran parte erano già note soprattutto a chi vive e fa sindacato e politica nelle zone di maggiore affluenza di lavoratori provenienti da Paesi non europei. Abbiamo allora tutti “scoperto” che i lavoratori extracomunitari vivono e lavorano nel nostro Paese in condizioni assolutamente umilianti e inaccettabili, abbiamo appreso che nei mesi estivi, durante la campagna del pomodoro, dormono ammassati nei ghetti di Villa Literno o nelle seconde case, in genere abusive, di Castel Volturno, e che a lavorare ce li porta il caporale di turno, con relativa tangente, che il salario è 1.000 lire a cassetta, una cassetta da 25 kg, per 10-12 ore di lavoro al giorno. E poi c’è l’illegalità diffusa, le violenze, i ricatti, le minacce, l’assoluta assenza di qualsiasi diritto. La Flai è certamente una delle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente coinvolte. Le campagne di raccolta della frutta, del pomodoro, dell’uva, delle olive, i lavori nelle serre e nei vivai occupano già da qualche anno decine di migliaia di lavoratori immigrati, nel Mezzogiorno ma anche nelle regioni del Nord. A questo punto conviene forse mettere da parte i dibattiti sul numero attuale dei lavoratori immigrati nel nostro Paese, le affascinanti proiezioni demografiche, la pretesa di definirli una volta per tutte (sono concorrenziali o non concorrenziali?) e cominciare a lavorare in vista della prossima campagna di raccolta per vedere se riusciamo a contrattare (ed ottenere) condizioni di vita e di lavoro migliori».

C’è voluta la morte di Jerry Masslo perché si parlasse di lavori massacranti, paghe da fame, sfruttamento e condizioni di vita inumane. Il 20 settembre del 1989 a Villa Literno si tenne il primo sciopero dei lavoratori migranti contro il caporalato. Fu un evento di portata storica per tutto il Paese.

Il 7 ottobre a Roma la prima manifestazione nazionale contro il razzismo. Una marcia della civiltà, imponente e straordinaria, alla quale parteciparono oltre 200.000 persone. «È una causa che deve coinvolgere tutti – dirà Bruno Trentin, segretario generale della Cgil – perché nel razzismo si concentrano il più sordido conservatorismo e tutti gli attacchi alla democrazia e alla convivenza civile».

Valeria Cappucci

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