La ferocia mascherata del nuovo decreto Flussi

Dietro qualche finta concessione, nella misura approvata dal governo a inizio ottobre si nasconde la solita logica securitaria e repressiva, in perfetta continuità col dl Cutro

Lo spettro di Satnam Singh e l’orrore della vicenda che l’ha visto vittima sembrano aver costretto il governo ad agire, contro voglia, per mettere in cantiere una parvenza di scudo di fronte alle insidie ataviche che snaturano il lavoro nella nostra economia primaria, sfruttamento e caporalato. Tuttavia, la voce grossa del governo è inversamente proporzionale alla fievolezza dei provvedimenti che assume per rafforzare l’ecosistema di contrasto agli abusi.  

Il governo Meloni, con il consueto approccio muscolare e spettacolare, prima ‘spezza le reni’ allo sfruttamento, con i controlli straordinari del 3 luglio scorso, ed ora interviene sul famigerato decreto flussi. Peccato che tali controlli, effettuati su 310 aziende di cui 206 sono risultate irregolari (due su tre), abbiano dimostrato quanto ci sarebbe bisogno di rinforzare l’Ispettorato del lavoro e aumentare in maniera strutturale i controlli, ma questo ovviamente non interessa. “Giustizia è fatta”, fino al prossimo Satnam ovviamente. È in questo contesto che vanno inquadrate le misure sul caporalato e il decreto Flussi approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 2 ottobre. 

Per brevità di giudizio potremmo limitarci a dire che tutto ciò è l’ennesimo specchietto per le allodole. Partendo dal fantomatico permesso di soggiorno che dicono di aver introdotto per le vittime di grave sfruttamento e caporalato, ma che in realtà è già previsto, fin dal 1998, dall’art.18 del Testo unico sull’Immigrazione, rispetto a cui l’unica vera novità pare essere l’estensione dell’Assegno di Inclusione alle vittime. Il tema vero però non è solo come si garantisce un reddito alle vittime per la durata del processo, ma anche come si assicura un reinserimento socio-lavorativo, e dunque un futuro, a chi ha visto per troppo tempo sottrarsi dignità lavorativa ed umana. 

Non soltanto un approccio sbagliato al tema, ma il tentativo subdolo di considerarlo un problema che interessa lavoratrici e lavoratori stranieri. La domanda sorge spontanea: e le vittime che un permesso di soggiorno già ce l’hanno? E i lavoratori italiani e comunitari? Legare sfruttamento lavorativo e caporalato esclusivamente al tema migratorio e ad interventi in materia di flussi rischia non solo di essere inefficace, ma anche di deresponsabilizzare i datori di lavoro e le istituzioni nell’affrontare un fenomeno che ormai è divenuto strutturale al sistema produttivo.

Va sottolineato poi, nel decreto Flussi, un limitatissimo richiamo alla responsabilità dei datori di lavoro, prevedendo sì un’esclusione per tre anni dalla possibilità di domanda per chi non provvede alla stipula del contratto di lavoro, ma nessuna reale sanzione. Viene introdotta inoltre la possibilità di sottoscrivere un nuovo contratto di lavoro entro 60 giorni dalla scadenza del nulla osta e la possibilità di conversione dei permessi di soggiorno stagionali. Tale misura potrebbe apparire positiva ma rischia invece di deresponsabilizzare ulteriormente i datori di lavoro e consegnare i lavoratori ad una condizione sistematica di sfruttamento pur di conservare quel prezioso ‘pezzo di carta’.

Sarebbe invece necessaria una vera emersione sociale, utilizzando appieno strumenti come la Rete del lavoro agricolo di qualità, che invece è vittima oggi di un vero e proprio boicottaggio. Sarebbe stato molto più semplice e giusto introdurre un permesso di soggiorno per ricerca lavoro, superando la logica delle quote, e procedere ad una regolarizzazione diffusa dei migranti già presenti sul nostro territorio. 

E allora è chiaro dove si vuole arrivare: fare apparire ancora una volta l’immigrazione come il male oscuro del nostro Paese. È il tentativo di ribaltare completamente la realtà, provando a far passare il concetto che sia l’immigrazione a produrre il fenomeno dello sfruttamento e del caporalato, e non al contrario un sistema diffuso di padronato che approfitta della fragilità legata alla condizione di lavoratore immigrato e di una legislazione che alimenta la precarietà e la ricattabilità di quest’ultimi.

Dietro qualche finta concessione, si nasconde una feroce logica securitaria e repressiva, in perfetta continuità con il cosiddetto decreto Cutro, che sfrutta anche questa volta l’ennesima tragedia per approvare provvedimenti contro i migranti. È infatti chiara la volontà ulteriormente punitiva sia nei confronti delle Ong che dei migranti, che si è tradotta nel rendere ancora più complicati i salvataggi, nella stretta ulteriore alla concessione della protezione umanitaria e nell’introduzione della possibilità di ‘sbriciare’ liberamente nei cellulari di chi sbarca nel nostro Paese al fine, si dice, di accertarne età, identità e cittadinanza. 

Invece di affrontare quella che è una vera e propria emergenza democratica, ancora una volta si calpesta il diritto internazionale e la Costituzione in nome di una fantomatica ‘invasione’ che non solo non c’è, ma che in realtà assomiglia sempre più ad una vera e propria tratta di schiavi utili ad alimentare la parte malata del sistema produttivo agricolo e non. Combattere per una giusta legislazione sull’immigrazione non è oggi solo un fatto, più che meritevole, di solidarietà umana, ma una vera e propria battaglia costituzionale per la giustizia sociale.

Jean-René Bilongo

Matteo Bellegoni


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