Il grande assente nella Vision Ue sull’agricoltura è il lavoro

Nelle ventisette pagine del documento con cui la Commissione europea ha presentato la strategia sull’agroalimentare, a lavoratrici e lavoratori che tengono in piedi il settore sono dedicate solo poche righe. E poi ci sono le contraddizioni, diverse, con cui si guarda al futuro del comparto

Nel dare una valutazione della “Vision su agricoltura e cibo” della Commissione Ue, il documento con cui ieri è stata presentata la strategia europea per il settore agroalimentare, non è possibile non individuare almeno due contraddizioni macroscopiche.

La prima è che il nuovo mantra ideologico promosso da Draghi a settembre scorso, sull’importanza e il bisogno di competitività dell’Unione, viene strettamente connesso alla sovranità alimentare. Una contraddizione in termini: o si cerca di migliorare la produttività di un sistema per decenni sostenuto con finanziamenti diretti, o si punta a garantire una ampia e varia produzione alimentare che non causi shock al mercato agricolo comune. Non è possibile, a nostro avviso, praticare al contempo ambo le strade, né in astratto né in concreto.

La seconda contraddizione che rileviamo riguarda un altro dogma ideologico, quello secondo cui il libero scambio e il libero mercato salveranno l’Europa. Che senso ha promuovere un accordo di libero scambio col il Mercosur per poi definire decine di limitazioni sulle qualità delle produzioni agricole che si possono scambiare? Da una parte si promette ai sudamericani che le loro merci potranno entrare indisturbate nel nostro mercato, dall’altra si tranquillizzano agricoltori e consumatori: gli uni non verranno messi in concorrenza con un sistema che li divorerebbe, gli altri non avranno cibo prodotto con sostanze chimiche vietate nell’Ue.

Il tema sostanziale è che da sempre la Politica agricola comune (Pac) è la cartina tornasole del modello produttivo e politico che le Commissioni vogliono promuovere. In un sistema di ipotetico libero mercato, in cui è la Commissione da sempre a delineare la politica industriale, la Pac e in generale le politiche agricole rappresentano grimaldelli strategici utili a indirizzare politicamente l’Europa.

Noi crediamo che, anche in questo caso, tale principio sia stato rispettato. In primo luogo perché oltre alle contraddizioni sopracitate, nelle 27 pagine della Vision è quasi totalmente assente il tema del lavoro. Se ne parla appena in una decina di righe. Del grande successo della condizionalità sociale, del bisogno di implementarla ed estenderla a tutte le filiere del settore agricolo, non si fa cenno. Sul resto del documento si continua a sponsorizzare la favola che l’agricoltura si “auto genera” e non ci siano milioni di vite dietro il cibo che quotidianamente consumiamo. La favola secondo cui l’unico problema dell’agricoltura sia il reddito degli agricoltori.

Noi ci permettiamo di dire che il reddito degli agricoltori è un sintomo, non la malattia. E continuare a curare il reddito degli agricoltori non guarirà un modello produttivo che ha inseguito per decenni i finanziamenti pubblici senza mirare ad un reale cambiamento.

La seconda questione è che non è chiaro quale sia il budget a disposizione. Il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue Raffaele Fitto parla di fondi complementari, aggiuntivi, a tanti altri già erogati dall’Unione, ma qual è la cifra di cui si parla? Le manifestazioni dei trattori dello scorso anno individuavano proprio nella possibile diminuzione dei fondi a disposizione della Pac uno dei loro motivi di protesta e non vorremmo che la “de-regolamentazione” che tanti rappresentanti delle associazioni datoriali e lo stesso vicepresidente decantano come prospettiva salvifica sia la pedina di scambio.

Ulteriore preoccupazione anche sul fronte delle aree rurali e l’agricoltura dei piccoli, che però ha un ruolo sostanziale nella tutela della biodiversità, nell’economia sociale del nostro continente e nella vita di milioni di europei: da una parte vengono dichiarati indispensabili dall’altra non si interviene sulla polarizzazione della ricchezza (e dei finanziamenti) in favore delle grandi aziende. Per carità si tratta di un documento di orientamento senza risvolti pratici, ma perché dobbiamo continuare a sventolare questa foglia di fico?

La ricchezza e la capacità produttiva agricola si sta concentrando nelle mani di pochi e seppure qui il processo sia molto più lento che in altre parti del mondo, anche in Europa andiamo verso il consolidamento di grandi player oligopolistici. Vale lo stesso per giovani: da una parte si denuncia l’invecchiamento strutturale della base imprenditoriale ma dall’altra non si impedisce il concentramento della ricchezza né si favorisce l’ingresso nel mondo dell’agricoltura.

Siamo però fortemente convinti, proprio come indica la Vision Ue, che si debba proiettare l’agricoltura europea in una dimensione globale e non regionale. Continuare a pensare che non esista una vera interconnessione tra le agricolture mondiali è un errore che non possiamo commettere. Rimane il tema di come affronteremo questa sfida: subendo i processi economici e affrontando la questione in modo ideologico, oppure trovando il modo di tutelare gli interessi locali e collettivi nell’ottica di uno sviluppo complessivo del comparto.

Come Flai Cgil pensiamo che il valore sociale dell’agricoltura sia eccessivamente trascurato. Sia per quanto riguarda il lavoro, sia per gli effetti che una buona agricoltura ha sulla società. Continueremo a promuovere l’idea di un’agricoltura sostenibile e a filiera corta, dove qualità delle produzioni e qualità della vita del produttore, sia esso agricoltore o lavoratore, vanno di pari passo.

Andrea Coinu
Capo dipartimento Politiche internazionali Flai Cgil

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