La memoria viva di Placido Rizzotto

La sera del 10 marzo 1948 l’ex partigiano e segretario generale della Camera del Lavoro di Corleone viene aggredito e ucciso. Un efferato assassinio di matrice mafiosa, che resterà impunito. Nei decenni successivi, fino ad oggi, il ricordo del suo esempio coltivato dal sindacato ha ispirato chi lotta quotidianamente contro la criminalità organizzata

Tra marzo e aprile del 1948 in Sicilia vennero assassinati Epifano Li Puma, Calogero Cangelosi e Placido Rizzotto. Sono tutte vittime di un disegno che elimina le persone ma non riesce a soffocare il movimento che aveva svegliato la coscienza dei lavoratori della terra e che dal sacrificio dei suoi caduti riesce a trovare una determinazione ancor più forte per continuare la lotta. Il clima è quello di una campagna elettorale che si concluderà con la sconfitta delle forze democratiche il 18 aprile del 1948: in Sicilia le forze reazionarie impegnarono la mafia in una larga opera di persecuzione e intimidazione prendendo di mira chi guida i movimenti contro la persistenza dei feudi e per l’attuazione dei decreti Gullo, riguardanti la spartizione del prodotto e la concessione delle terre incolte alle cooperative dei braccianti.

La sera del 10 marzo 1948 Placido Rizzotto, partigiano e segretario generale della Camera del Lavoro di Corleone, viene aggredito, caricato in una macchina, ucciso e buttato in un crepaccio a Rocca Busambra, la cima più alta della Sicilia Occidentale. Dell’omicidio vengono accusati Luciano Liggio, Pasquale Criscione e Vincenzo Collura. Tutti e tre verranno assolti per insufficienza di prove nel dicembre del 1952.

Quello di Rizzotto fu definito dall’Antimafia un caso esemplare, solo 18 mesi dopo la sua scomparsa i resti del suo corpo e dei vestiti che indossava tornarono alla luce, recuperati dal fondo di uno stretto crepaccio. Leggiamo in un supplemento di Sindacato e lavoro n. 8-9 del 1982: «Uno dei fratelli dello scomparso, Carmelo, riconobbe le scarpe: pesanti, di tipo americano ‘Erano mie, le avevo date a Placido perché mi stavano strette’ disse. Due delle sorelle Rizzotto, Biagia e Giuseppa, riconobbero una striscetta d’elastico annodata: Placido la adoperava per tener su le calze. Tutti, a Corleone, sapevano che Rizzotto era stato ucciso perché era riuscito ad ottenere per la cooperativa Bernardino Verro parte delle terre dell’ex feudo Drago. E tutti sapevano che Luciano Liggio, pupillo di Michele Navarra aveva sequestrato e ucciso Rizzotto».

Un crimine efferato con un movente squisitamente politico. Gli innumerevoli punti oscuri nelle indagini e i tentativi di depistaggio rendono l’omicidio di Rizzotto l’emblema di quello che era il clima di sopraffazione che la mafia – insieme agli agrari – esercitava nei confronti di chi organizzava la lotta dei lavoratori della terra. Placido Rizzotto, come troppi altri compagni, pagò con la vita l’impegno politico e la sua scelta di continuare con determinazione a lottare. Non verrà mai fatta giustizia per il suo assassinio, che resterà impunito.

«La commemorazione di Rizzotto – leggiamo in un articolo di Lotte Agrarie del 1983, in occasione del 35° anniversario dell’assassinio – acquista un grande significato che deve dare coraggio e fiducia a chi oggi è impegnato nella lotta contro la mafia. Si tratta di far continuare a vivere Rizzotto nel cuore dei lavoratori, della gente onesta, che vuole lavorare con serenità e che nulla ha a che fare con la mafia. (…) I compagni che nella sua attività gli furono vicini, i lavoratori di Corleone che lo hanno conosciuto, ricordano Placido Rizzotto come un giovane pieno di vita, coraggioso, fermamente convinto della causa per cui lottava e che metteva a disposizione di altri tutte le proprie capacità umane e intellettuali».

La Cgil, i familiari e gli amici di Placido non smetteranno mai di chiedere giustizia. Il 7 luglio del 2009 verranno rinvenuti altri resti e solo nel marzo del 2012 l’esame del Dna, comparato con quello del padre di Placido, ne accerterà l’appartenenza.

Il 24 maggio 2012, dopo 64 anni dal suo assassinio, a Corleone in una chiesa gremita, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si celebrano i funerali di stato per Placido Rizzotto e gli verrà attribuita una medaglia d’oro al merito civile.

Commovente la cerimonia, in particolare le parole del nipote, Placido Rizzotto Jr. che in quell’occasione sottolinea l’orgoglio di portare il suo nome: «Un ragazzo sveglio, un uomo generoso ed allegro. Il militare, la guerra e poi la lotta per liberare il Paese dalla dittatura e per costruire un’Italia migliore. A Corleone al posto dei fascisti c’erano altri padroni, altri prepotenti e per la povera gente esisteva sempre la stessa miseria. […] La gente ti capiva, ti seguiva, ti amava. Come te altri uomini in tutta la Sicilia in quegli anni coltivavano il sogno di libertà e di riscatto. Chiedevate terra, diritti e lavoro. Per tutti voi era stata scritta una storia di oblio, per tutti veniva negata la matrice politico-sindacale per l’attività svolta. Per te era stata scritta una storia terribile di cancellazione fisica e della memoria. Ma il tentativo di cancellare la tua memoria è da subito miseramente fallito, in quanto da sempre sei diventato il simbolo di quei dirigenti sindacali che hanno pagato con la vita il loro impegno. Io ho portato avanti il desiderio di tutta la famiglia per poter arrivare questo giorno, e finalmente potrai riposare in una tomba».

A pochi mesi dai funerali di stato, la Flai Cgil nazionale istituisce l’Osservatorio Placido Rizzotto – ora Fondazione – che cura il Rapporto sulle agromafie e il caporalato. Con il suo esempio per tener viva la memoria, per continuare a denunciare e a lottare per un Paese libero dallo sfruttamento, per un lavoro dignitoso e per la giustizia sociale.

Valeria Cappucci

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