La pesca italiana nell’uso dello spazio marittimo

Scenari futuri e riflessi socioeconomici in una ricerca commissionata dalla Flai Cgil

Sommario: “La pesca vedrà restringere sempre di più i propri spazi compromettendo la sostenibilità sociale di questa attività e nonostante la ferma determinazione dei pescatori nel volere continuare la loro attività rischiano di sparire le comunità costiere e con esse anche l’occupazione, l’economia e il patrimonio cultura del mare”

Nella corsa all’occupazione dello spazio marittimo la pesca rischia di essere esclusa dalla carta nautica. Accusata di essere unico responsabile del sovrasfruttamento degli stock ittici e del degrado dei fondali marini abbiamo assistito alla demolizione di quasi il 50% della flotta italiana in tonnellaggio e all’allontanamento dei pescatori dal settore. Queste azioni, che hanno inciso duramente sulla sostenibilità sociale delle comunità di pescatori, hanno avuto un effetto marginale sulle risorse ittiche. La scarsa efficacia di queste misure e dovuta al fatto che è stata trascurato un approccio ecosistemico ovvero non sono stati considerati gli impatti sulle risorse ittiche causati dal cambiamento climatico, dalle specie aliene, dai rifiuti marini e dall’inquinamento. A questi vanno aggiunti la pesca illegale, il bracconaggio e la crescita delle flotte da pesca di paesi terzi che operano sugli stessi stock ma senza regole e con costi di esercizio molto più bassi dei nostri.

Ciò nonostante si continua a criminalizzare la pesca europea promuovendo ulteriori demolizioni della flotta e aumentando, attraverso il nuovo Piano d’Azione Europeo “Proteggere e ripristinare gli ecosistemi marini per una pesca sostenibile e resiliente “ (COM 2023/102), l’estensione delle aree Natura 2000 (SIC e ZPS) e introducendo in queste ultime il divieto di pesca a strascico. Queste scelte sembrano non considerare che l’Italia produce solo il 28% del suo fabbisogno di prodotti ittici e il quasi il 40% di questo è catturato dalla pesca a strascico.

Lo spazio utilizzabile dalla pesca a strascico è già limitato dalla presenza dalle Aree Marine Protette, dalle Zone di Tutela Biologica e dalle Fishery Restricted Area, che includono i fondali più profondi di 1000 metri, dai limiti dalla costa, dai fondali non strascicabili, dalle aree con habitat protetti, dalle istallazioni e dai cablaggi in mare, dalle aree archeologiche e dai relitti cui si aggiungono le servitù militari, le concessioni demaniali e le ordinanze temporanee.

Lo studio della FLAI ha valutato che, il 28% della Piattaforma Continentale Italiana non è strascicabile, limite che sale al 65% delle acque territoriali, ovvero entro le 12 miglia dalla costa.

Ma se verrà adottato il Piano d’Azione UE e se saranno istaurate le nuove aree natura 2000 identificate la pesca a strascico perderà un ulteriore 4% della piattaforma continentale e il 12% delle acque territoriali.

In un immediato futuro lo spazio marittimo sarà occupato anche da insediamenti estrattivi di metalli e di sabbie e da impianti Eolici Offshore (OWF). Attualmente sono 67 le procedure autorizzative in corso presso il MASE e se venissero tutte accolte rappresenterebbero il 3,5% della piattaforma continentale e il 2% delle acque territoriali.

Le OWF però non ostacolano solo la pesca a strascico ma anche la pesca con il palangaro derivante per i grandi pelagici. Nel 2021 è stata praticata nelle aree richieste dalle OWF, il 6,2% della attività nazionale di pesca a strascico e il 4,8% di quella con palangari derivanti ma va considerato che questi sono spinti dalle correnti per decine di miglia quindi l’impedimento dovuto dalle OWF è molto più grande di quello calcolato. Gli effetti delle OWF sulla pesca possono essere modesti per alcune marinerie ma devastanti per altre.

Questo è dovuto al fatto che, permanendo la necessità di realizzazione le OWF per  attuare la transizione ecologica, la localizzazione di queste non ha mai visto attuare l’approccio partecipativo richiesto dalle Direttive Europee VAS (2001/24/CE) e VIA (85/337/CEE),  né la localizzazione delle aree sembra sia stata preceduta da uno studio della pesca per ottemperare alla Risoluzione del Parlamento Europeo del 7 luglio 2021 che sottolinea che le OWF dovrebbero essere installate in aree in cui è vietata la pesca. La mancata concertazione ha portato a richiedere vaste aree concentrate soprattutto nel Salento, nel Gargano a sud della Sardegna e a sud della Sicilia che sono insostituibili per importanti comunità di pescatori che ne verrebbero cancellate.

A questo non ha dato risposta la proposta di Pianificazione dello Spazio Marittimo (MSP) che non contempla le OWF e che, anch’essa, non ha adottato l’approccio partecipativo con le comunità di pescatori.

Ulteriori restringimenti alla pesca potrebbero provenire dalla richiesta al GFCM-FAO, sinora respinta, di restringere il limite batimetrico della pesca a strascico dai 1000m agli 800m o ai 600m di profondità.

L’Italia adotterà presto la propria Zona Economica Esclusiva (ZEE) che la vedrà esercitare in questa pieni diritti ma la priverà, salvo diversi esiti negoziali, di parte delle acque internazionali in cui esercita la pesca che ricadranno nelle ZEE di paesi non dell’Unione.

Si profilano quindi scenari preoccupanti per il futuro della pesca che vedrà restringere sempre di più i propri spazi compromettendo la sostenibilità sociale di questa attività e nonostante la ferma determinazione dei pescatori nel volere continuare la loro attività rifiutando la riconversione ad altri mestieri rischiano di sparire le comunità costiere e con esse anche l’occupazione, l’economia e il patrimonio cultura del mare. 

Franco Andaloro

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