Lavoratori e pensionati più poveri, Paese in declino. Ecco la ricetta Meloni

La legge di Bilancio, approvata in via definitiva lo scorso 28 dicembre, non contiene un solo provvedimento in grado di invertire il declino economico del Paese (siamo ormai a 22 mesi consecutivi di calo della produzione industriale) e la crescita anemica del Pil. Anzi, i tagli lineari ai ministeri, all’Istruzione, alla Ricerca, a Regioni ed Enti locali (14 miliardi di euro nel triennio 2025-2027, cui va aggiunto il pesante definanziamento del Servizio sanitario nazionale) e agli investimenti pubblici, peggioreranno la situazione, comprimendo ancor di più la domanda interna e impedendo di mettere in campo una politica industriale all’altezza della sfida cruciale che abbiamo di fronte: la transizione digitale, energetica ed ecologica del nostro sistema produttivo.

Rispetto al testo del disegno di legge varato dal Consiglio dei ministri, contro cui abbiamo indetto lo sciopero generale del 29 novembre, sono state introdotte poche novità, che hanno addirittura peggiorato le cose. La prima consiste nell’ennesimo “saccheggio” alle risorse per lo sviluppo e la coesione, 3,88 miliardi di euro, per finanziare il Ponte sullo Stretto, che si aggiungono alle altre ingentissime risorse sottratte alle politiche per il Sud. La seconda modifica riguarda la diminuzione dell’aliquota Ires che – oltretutto – riguarderà le poche imprese non in difficoltà.

Così, mentre lavoratori dipendenti e pensionati hanno pagato, a causa del drenaggio fiscale, un maggior gettito Irpef di ben 17 miliardi nel 2024, alle imprese che hanno aumentato a dismisura i profitti vengono anche questa volta abbassate le imposte. Evidentemente, dopo i ben 77,2 miliardi di incentivi e benefici fiscali destinati al sistema imprenditoriale nei primi 11 mesi del 2024 (il 90% delle spese in conto capitale dello Stato), non si è ancora compreso che proseguire su questa strada non determina alcun ritorno significativo in termini di investimenti e occupazione di qualità.

In questo modo il governo non si limita a non andare a prendere i soldi dove sono, preferendo di gran lunga tagliare la spesa pubblica, in particolare quella sociale, ma neppure induce il sistema delle imprese a utilizzare gli enormi profitti ed extra profitti realizzati in questi anni per aumentare gli investimenti e rinnovare i contratti.

Proseguendo su questa strada, le conseguenze sono facilmente prevedibili. Si moltiplicheranno le crisi aziendali e i livelli occupazionali ne risentiranno in maniera significativa. Le nuove generazioni, che soffrono sulla loro pelle una precarietà sul lavoro che il governo aggrava anziché risolvere, continueranno a lasciare il nostro Paese. Lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, che hanno sopportato un brutale impoverimento causato da un’alta inflazione cumulata cui non è stato posto alcun rimedio, subiranno anche gli effetti dell’indebolimento di un welfare sempre meno pubblico e meno universalistico. Neppure in questa legislatura ci sarà alcuna modifica della Legge Monti-Fornero, che intanto sono riusciti a peggiorare.

I soli a guadagnarci saranno: chi sta accumulando grandi patrimoni e rendite; chi opera nel settore militare (l’unico capitolo di spesa che crescerà, da qui al 2039, di ben 35 miliardi) e gli evasori, per i quali viene escogitato ogni strumento possibile e immaginabile per consentirgli di non pagare il dovuto al fisco.

Per quanto ci riguarda, non abbiamo alternative a batterci anche nel prossimo futuro per ottenere risposte per le persone che rappresentiamo e per cambiare le politiche inique e fallimentari dell’esecutivo.

Christian Ferrari
segretario confederale Cgil

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