“Quattro referendum per opporsi al lungo regresso”

Arginare la precarietà, aumentare la sicurezza sul lavoro, tutelare le persone dai licenziamenti illegittimi. Sono gli obiettivi della campagna referendaria lanciata dalla Cgil. Quattro sono i quesiti, per cui dal 25 aprile si è aperta la raccolta firme. “È un tentativo necessario di riproporre ciò che si è perso in questi trent’anni e più, ossia la centralità del lavoro, sancita dall’articolo uno della nostra Costituzione”, spiega ad inFlai il costituzionalista Gaetano Azzariti. 

Professore, quale potrebbe essere l’impatto reale di questi referendum?

Prima una breve riflessione sul momento storico. Pandemia, guerra e crisi economica hanno cambiato gli equilibri internazionali ed interni. Stanno venendo al pettine i nodi delle politiche sociali, economiche ed istituzionali dell’ultimo trentennio. Su questo fronte, si sta disputando una partita dall’esito ancora aperto, in cui le forze che si ispirano al progresso e alla tutela del lavoro devono giocarsela, non solo in difesa. Anche attraverso questi quattro referendum, che rappresentano un atto politicamente significativo di dissenso, un tentativo di opporsi a quello che ho definito il “lungo regresso”. 

In questo regresso che ruolo interpreta il governo Meloni?

Ahimè spetta all’attuale esecutivo, ossia alla peggior destra, il tentativo di chiudere questa partita. Va detto, però, che questi referendum riguardano principalmente il Jobs act, espressione di quella “in-cultura” costituzionale che proviene da lontano e ha coinvolto diverse forze politiche, comprese quelle tradizionalmente legate al mondo del lavoro, segnando un progressivo smantellamento dei diritti dei lavoratori.

Nel panorama “progressista”, quanto si è davvero chiusa quella stagione?

Non si è mai chiusa. Spero che i quattro referendum scuotano quel mondo e lo inducano a fare finalmente i conti con sé stesso. Dopo una stagione in cui le ragioni dell’impresa sono state esaltate a discapito di quelle del lavoro, questi quesiti intendono ribilanciarle, offrendo anche alla politica l’occasione di una svolta. Innalzare le tutele contro i licenziamenti illegittimi, come propone il secondo quesito, non rappresenta certo una difesa assoluta e cieca di chiunque lavori, ma un tentativo di evitare che i lavoratori siano ridotti ad appendice senza diritti delle imprese. 

Ciò vale anche per il quarto referendum, che chiede di ripristinare la responsabilità delle ditte committenti nell’appalto e subappalto in caso di infortunio o malattia professionale…

È assurdo non far valere la responsabilità dell’impresa in un meccanismo infernale come quello dei subappalti. Non possiamo subordinare alle ragioni economiche delle aziende persino la salute e la sicurezza delle persone. Altrimenti continueremo ad avere le tragedie di cui spesso leggiamo sui giornali. Ci deve essere una reazione a questa situazione insopportabile.  

Su questo fronte il governo Meloni, con la reintroduzione degli appalti a cascata nel settore privato, non ha migliorato le cose…

Già. Questo esecutivo ha interpretato e, quando possibile, peggiorato tendenze in atto. 

Per non parlare dell’approccio che ha coi sindacati: convoca i confederali assieme a quelli più piccoli e meno rappresentativi, mettendoli tutti sullo stesso piano. 

Assolutamente sì. È una vecchia storia, che riguarda la non attuazione dell’articolo 39 della Costituzione. Anche tra i sindacati, va detto, c’è stata talvolta una certa ritrosia sul tema. E adesso se ne paga il prezzo. Perché il governo, in modo malizioso, può limitarsi a “contare” e non “pesare” le forze sindacali. Mentre i contratti collettivi sono definiti dai cosiddetti accordi “pirata”, stipulati da sigle fantasma. Come dice Landini, va ripresa sul serio il tema di una norma sulla rappresentanza.

Anziché attuare la Costituzione, però, la si aggredisce. Basti pensare al premierato, all’autonomia differenziata. Il tutto condito dai manganelli a chi protesta, dai tentativi di bavaglio alla Rai e dalle proposte di carcere per i giornalisti. Siamo di fronte ad una deriva autoritaria?

Il clima complessivo è temibile. Siamo in una fase di passaggio, il cui esito non è ancora definito. Certo, se dovessero passare la legge sul premierato e l’autonomia differenziata così come sono state immaginate, avremmo di fatto una nuova Costituzione. Il premierato sancirebbe una definitiva verticalizzazione dei poteri a scapito della rappresentanza. La “democrazia pluralista” diventerebbe una “democrazia del capo”. Mentre con l’autonomia differenziata rischieremmo, tra le altre cose, di perdere la capacità di controllo sui conti dello Stato e l’eguaglianza nei diritti nelle diverse parte del Paese. 

Il 25 maggio a Napoli torneranno a manifestare le realtà de La via maestra, anche per opporsi a queste “deforme costituzionali”.

Rinsaldare questo tipo di reti tra associazioni e sindacati, fuori dalla dimensione dei partiti, mi sembra fondamentale. Tanto più in una fase di difficoltà delle opposizioni nel farsi valere in Parlamento. La via maestra, di cui la Cgil è azionista di maggioranza, riunisce una galassia di realtà che antepongono le comuni preoccupazioni alle proprie diversità. Si tratta di una mobilitazione importante, così come sono state significative le piazze stracolme del 25 aprile e la presa di parola degli studenti contro le stragi che avvengono nel mondo, in particolare in Palestina. Ci si sta rendendo conto che cambiare rotta è ormai indispensabile.

Leonardo Filippi

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