Salario Minimo per rafforzare il ruolo dei sindacati nella contrattazione collettiva

“Ha il pregio di essere la prima grande direttiva giuslavorista con forti risvolti economici, costruita con mesi di mediazione tra gli interessi dei singoli paesi, dei lavoratori e delle rappresentanze datoriali”

Nella narrazione su cosa possa rappresentare il salario minimo nel nostro paese, esistono, tendenzialmente due scuole di pensiero. Una individua nel minimo salariale la panacea di tutti i mali di un sistema di diseguaglianze ormai secolarizzate e l’altra sostiene sia un rischio per la crescita dell’economia nazionale e continentale. A memoria, nessuna delle crisi cicliche del nostro sistema economico è mai stata causate dall’innalzamento della redistribuzione salariale. Anzi, è certo che in alcune fasi di crisi l’economia sia ripartita puntando proprio sull’aumento degli stipendi più bassi. D’altro canto, la povertà dilagante che inizia a colpire non solo gli espulsi dal mercato del lavoro, riguarda non chi guadagna poco per ora lavorata ma chi lavora per poche ore.

L’intento della direttiva è quello di individuare una soglia di dignità del lavoro sotto il quale si va fuori legge e cercare di garantire un’estensione contrattuale nei paesi in cui la contrattazione collettiva garantisce solo una bassa percentuale di lavoratori.

La direttiva, dunque, non ha un intento esclusivamente economico ma offre esplicitamente la possibilità di rafforzare il ruolo dei sindacati nella contrattazione collettiva. Di possibilità si parla perché, è chiaro, l’effettiva realizzazione è legata alle modalità con cui ogni paese deciderà di applicarla.

Ogni paese d’Europa ha provato a adeguare alle proprie necessità interne le opportunità legislative della Direttiva, rafforzando la contrattazione, applicando l’erga omnes, diminuendo i contratti fuori dal controllo sindacale, sostenendo meccanismi di rappresentanza datoriali e sindacali tipici del modello del dialogo sociale. 

La Direttiva sul Salario Minimo, in questo senso, ha il pregio di essere la prima grande direttiva giuslavorista con forti risvolti economici, costruita con mesi di mediazione tra gli interessi dei singoli paesi, dei lavoratori e delle rappresentanze datoriali.

In questo senso si evince il legame a doppio filo tra modelli contrattuali e salario minimo, inteso come minimo orario, soprattutto dove il rapporto contrattazione e salario minimo vengono usati per implementare i salari medi all’inflazione, all’aumento di produttività, all’aumento del PIL. Ma in un paese come il nostro in cui i contratti vengono regolati per negoziazione e in cui spesso il maggior agente contrattuale, che è lo stato, non sostiene l’aumento medio dei salari sospendendo il rinnovo dei CCNL, si può pensare il Salario Minimo sia una soluzione adeguata? 

In Germania oggi la cifra è fissata a 12,4 euro e in Francia 11,65, la Spagna ha aumentato la cifra del 54% in 4 anni passando da 750 euro a 1130 per 14 mensilità e puntando ad arrivare a 1450 nei prossimi 4 anni, a testimonianza che si stia facendo politica economica in seno ad una direttiva sul Salario Minimo. Questo avviene soprattutto in Spagna dove in assenza di una diminuzione delle ore lavorate la soglia è in costante aumento.

In Italia invece dovremmo confrontarci con un Governo che, con una delega diretta, ha tempo fino a novembre per attuare compiutamente la Direttiva sul Salario Minimo. 

 Le conseguenze potenziali hanno un importante risvolto confederale ma non lasciano la nostra categoria esclusa da implicazioni. Sia sul meccanismo negoziale, cioè sull’ipotesi che una data soglia diventi minimo tabellare su cui costruire la negoziazione, sia sull’estensione erga omnes dei contratti, sia sulla cifra di soglia. Per il nostro comparto potrebbe essere, ad esempio, positiva la cifra di 9 euro in discussione, essendo non sono tantissimi i livelli contrattuali sotto quella cifra. Rimane inevaso però il meccanismo con cui quella cifra potrà essere riparametrata. Sarà una commissione paritetica e tripartita con datoriali e Governo a stabilire di quanto far crescere il salario minimo? Sarà una semplice indicizzazione sul costo della vita? Se si aumentasse anche solo di pochissimo la cifra dei 9 euro, magari per rapportarla all’inflazione degli ultimi mesi, sarebbero migliaia i lavoratori sottosoglia da noi rappresentati e sarebbero coinvolti anche alcuni livelli dell’attuale contratto dell’Industria.

Andrea Coinu

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