Sotto le ruote dei trattori non devono finire le politiche green dell’Europa

Le proteste di questi giorni sono un giustificato grido d’allarme per un settore in difficoltà, sia per motivi strutturali che congiunturali. Le produzioni agricole di qualità devono essere maggiormente tutelate, così come devono essere tutelati i lavoratori e le lavoratrici dei campi, spesso sfruttati. L’attuale modello di produzione agricola è insostenibile dal punto di vista etico e ambientale, ma anche da quello prettamente economico, e le proteste ce lo confermano. Ma mantenere uno status quo che permetta alle aziende agricole di sopravvivere nel breve periodo, non è la risposta adeguata a questa fase di transizione climatico-ambientale che ci pone davanti al rischio concreto di una crisi irreversibile del nostro ecosistema agricolo. E questo non può essere terreno di campagna elettorale in vista delle elezioni continentalidi giugno, con le consuete strumentalizzazioni che per giunta coinvolgono i partiti di maggioranza del governo Meloni. Sul punto, sorprende che le proteste dei trattori siano in qualche modo giustificate se non sostenute dall’esecutivo, mentre poche settimane fa i lavoratori di Cgil e Uil che esercitavano il loro diritto di sciopero siano stati subito precettati.

Il minimo comune denominatore delle proteste sembrerebbe la critica all’agenda verde dell’Unione e alle politiche agricole europee. In realtà le rivendicazioni sono molto diverse fra loro e riguardano problemi non risolti dalla politica, finiti da anni sotto il tappeto come la polvere. In Italia vengono contestate soprattutto le politiche agricole del Green Deal, gli accordi commerciali internazionali – posizione peraltro condivisa anche dalla nostra organizzazione sindacale che ha preso posizione contro il TTIP e l’accordo Mercosur – le misure della nuova Politica agricola comune che mettono limiti all’agricoltura intensiva, prevedendo la messa a riposo del 4% dei terreni a seminativo. Poi ci sono richieste anche di natura fiscale, che riguardano un nuovo azzeramento dell’Irpef-Imu agricola e la conferma, anche dopo il 2026, del regime di agevolazione sui carburanti agricoli.

La mancanza di politiche di indirizzo organiche ha provocato un’evoluzione disarticolata e incoerente del modello agricolo. Ci sono aziende che hanno scelto di puntare sulla qualità dei prodotti e del lavoro, cogliendo anche la sfida – ineluttabile – di produrre cibo in maniera sostenibile per l’ambiente, ma anche altre che preferiscono competere attraverso i vecchi paradigmi dell’agricoltura intensiva, magari usufruendo in maniera sostanziale degli aiuti economici previsti dalla stessa Politica agricola comune.

L’approccio iperliberista e la deregolamentazione dei mercati hanno fatto sì che il valore della produzione agricola sia rimasto schiacciato nella dinamica della filiera, soprattutto a discapito dei costi della Grande distribuzione organizzata, così come delle fluttuazioni delle commodities e delle ormai consuete speculazioni sulle materie prime, rendendo il settore economicamente sostenibile solo se sovvenzionato attraverso incentivi o sussidi. E non va sottovalutata la dimensione di chi ha individuato nello sfruttamento indiscriminato del suolo e degli stessi lavoratori, cioè nel caporalato, la risposta per mantenere alti i propri profitti generando una competizione sleale tra imprese e alimentando un sistema in cui l’irregolarità è troppo spesso diventata la norma.

L’obiettivo è quello di intervenire in maniera strutturale sul sistema produttivo agricolo, valorizzando il carattere multifunzionale del settore così come le competenze professionali e la qualità del lavoro. In questo senso ecco alcune proposte concrete che potrebbero favorire un modello di sviluppo più sostenibile:

• Investire in conoscenza e ricerca, sia perché l’innovazione tecnologica è una delle chiavi per garantire una corretta transizione ecologica, sia perché è necessario comprendere meglio l’impatto e gli effetti di quelli che saranno i possibili futuri regimi alimentari (es. nuove tecniche genomiche, nuovi alimenti, etc…).

• Escludere la finanziarizzazione dei beni alimentari. Siamo dell’idea che il “sistema cibo” non debba essere oggetto di alcuna forma speculativa.

• Ricomporre il valore della filiera in maniera da dare il giusto peso economico alla produzione. Le imprese agricole sono schiacciate a monte dai costi di sementi, concimi, pesticidi e via dicendo, e a valle dai prezzi fatti dall’industria di trasformazione e, soprattutto, dalla GDO. Senza il recupero del ruolo e del valore dell’azienda agricola, la produzione continuerà ad essere il classico vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro. E’ necessario favorire la capacità di costituirsi in consorzi per avere maggiore forza contrattuale all’interno della filiera, sostenendo l’unicità del prodotto agricolo mediante la valorizzazione delle strategie basate sulla qualità, dagli operatori biologici alle imprese con prodotti a marchio Dop, Igp e Stg.

• Rilanciare il protagonismo del territorio puntando sui modelli organizzativi distrettuali sia per valorizzare know how, competenze, cultura e tradizione alimentare, sia per potenziare l’offerta di servizi ecosistemici che viene garantita dalle aree rurali. Il tema ‘territoriale’ è fondamentale anche per mitigare gli effetti dello spopolamento, fenomeno che riguarda in particolare le aree interne del nostro paese.

• Garantire, anche indirizzando politiche e conseguenti finanziamenti della Politica agricola comune, una distribuzione equa delle risorse e delle opportunità nel settore agricolo, privilegiando il lavoro invece che gli ettari e sostenendo l’economia circolare attraverso la messa in opera di sistemi di produzione non più intensivi e specializzati, bensì maggiormente rispondenti ai cicli naturali e ad un concetto di produzione agricola agroecologica.

• Rendere effettiva in tutti i paesi Ue la piena attuazione della condizionalità sociale che dopo anni di importanti battaglie sindacali è stata finalmente inserita nella nuova Pac. Più in generale, la Politica agricola comune può essere certamente migliorata, ma nell’ottica di garantire un modello socialmente, ambientalmente ed economicamente sostenibile.

• Potenziare la contrattazione, sia nazionale che di secondo livello, e adottare nuove forme di organizzazione del lavoro, in modo da garantire investimenti continui nell’aggiornamento e nel potenziamento delle competenze dei lavoratori, per favorire il loro coinvolgimento nelle scelte sulla sostenibilità delle aziende.

• Investire nell’educazione e nella sensibilizzazione riguardo alle pratiche agricole sostenibili e ai benefici di una dieta equilibrata. È importante sostenere l’istruzione alimentare nelle scuole, così come la formazione agricola e condurre campagne di sensibilizzazione per aumentare la consapevolezza sui temi ambientali e sociali legati al cibo.

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