Sto con chi ha fatto grande l’America, sto con gli operai

Il sindacato americano prova a cambiare e rinnovarsi in risposta alle teorie che ritengono inutile il ruolo di rappresentanza di lavoratrici e lavoratori

Andrea Coinu

Emanuele Galossi

“Profitti record significano contratti record”, semplice e incisivo lo slogan dell’Uaw, la centrale sindacale automotive americana, con cui si è deciso di affrontare la trattativa per il rinnovo del contratto di lavoro delle ‘Big Three’. Le tre case automobilistiche Ford, General Motors e Stellantis, che occupano oltre 150.000 lavoratori sul suolo americano, avevano infatti iniziato il 2023 ribadendo la loro efficacissima capacità gestionale finanziaria, con la strategia di giustificare i finanziamenti pubblici dell’IRA (Inflaction Reduction Act, attore fondamentali della partita di rinnovo) e attirare capitale, sono stati attentissimi a sottolineare i complessivi 21 miliardi di profitto nel primo semestre 2023.

Con quest’input la strategia sindacale è apparsa paradossalmente semplice. Ma servono delle premesse. Innanzitutto, sul rinato attivismo del sindacato americano. Non è casuale, infatti, che lo stesso Presidente Biden, dopo aver provato a scongiurare in ogni modo gli scioperi, si sia dovuto recare ai picchetti dichiarando “Sto con chi ha fatto grande l’America, sto con gli operai”. La sua presenza non è la causa ma la conseguenza di una tendenza di tutto il paese. È da oltre un decennio, infatti, che il sindacato americano prova a cambiare e rinnovarsi in risposta alle teorie che ritengono inutile il ruolo di rappresentanza di lavoratrici e lavoratori. Un tentativo di adattamento con risultati altalenanti, ma che grazie alla necessità di avere risposte celeri e concrete sta garantendo un importante crescita dell’attivismo.  Dopo un trentennio in cui la mediatica del lavoro era scomparsa dai radar dei media, la spinta di sindacalizzazione del Gruppo Amazon, della Starbucks, dei lavoratori del turismo californiani ma soprattutto dei Screen Actors Guild, la Federazione americana degli artisti televisivi e radiofonici (SAG-AFTRA), garantisce al “lavoro” un ritorno in grande stile delle discussioni dell’opinione pubblica d’oltre oceano. La stessa UAW, dopo una proposta di rinnovo dell’accordo FCA bocciata dai lavoratori nel. 2015 ha dovuto reinventarsi, investendo moltissimo sulla comunicazione ma, ancor più, rinnovando la proposta politica, specialmente sulla propria vocazione contrattuale e conflittuale e garantendo una reale partecipazione democratica ai lavoratori: questa, infatti, è la prima direzione sindacale realmente votata da lavoratrici e lavoratori. Dal punto di vista della strategia contrattuale invece, la principale grande intuizione, forse scontata per noi italiani, è stata quella di unire in unica trattativa le tre grandi compagnie produttrici, ribaltando, per la prima volta, la strategia di mettere in concorrenza tra di loro lavoratori e stabilimenti e immaginando invece lo stesso trattamento per le compagnie. Strategia non facile quella che professa l’unità del mondo del lavoro, soprattutto quando la Bank of America consiglia pubblicamente un licenziamento in tronco dei lavoratori in sciopero. La risposta è conosciuta, l’organizzazione degli scioperi prevedeva bassi preavvisi e coinvolgimento strategico e crescente degli stabilimenti dei gruppi con una cassa che garantiva 500 dollari a settimana per gli i scioperanti.

I risultati si sono visti dopo meno di sei settimane di scioperi. I primi a cadere sono stati la Ford dopo poco più di 20 giorni, a seguire, in poche settimane, anche Stellantis e GM hanno trovato un accordo con la UAW. Gli accordi, in assenza di un contratto nazionale di riferimento come in Italia, hanno diverse nature e sono tutti calati rispetto alle realtà aziendali, ma condividono tutti la filosofia di agire in maniera fortissima sul salario e sul potere d’acquisto dei lavoratori eroso da anni di inflazione e scarsi adeguamenti stipendiali.

L’accordo, nello specifico, prevede: aumenti medi salariali del 25% per i lavoratori per tutta la durata dei rispettivi contratti quadriennali (compreso un aumento immediato dell’11% al momento della ratifica); ripristino del COLA, un sistema di adeguamento economico automatico al costo della vita (una sorta di “scala mobile”) annullato nel 2009 quando le case automobilistiche di Detroit vacillavano sull’insolvenza; aumento della retribuzione iniziale per i lavoratori temporanei da 18 dollari l’ora fino a un massimo di 42 dollari entro la fine del contratto; accelerazione della loro conversione in dipendenti a tempo pieno e maggiori bonus di partecipazione agli utili. Inoltre, i lavoratori si vedranno riconosciuti oltre 2500 $ una tantum, saranno coinvolti nelle scelte strategiche di investimento delle Big Threee e anche chi è già andato in pensione vedrà rivalutato il contributo pensionistico a suo favore.

Non possiamo sapere cosa significherà nel lungo periodo questo tipo di accordo, ma è alta l’attenzione su un modello rivendicativo che guarda all’intero comparto e non alle specificità aziendali. Il sindacato, in questo modo, approccia politicamente la questione della produzione manifatturiera e il collegamento agli investimenti pubblici che la sostengono. Sarà interessante capire se questa strategia sia esportabile anche negli stabilimenti di altre Company automobilistiche a bassa sindacalizzazione.