Un futuro sostenibile non può ignorare le aree interne

Il nuovo numero della rivista AE della fondazione Metes per rivolgere lo sguardo su una porzione importantissima del nostro territorio 

Il tema delle disuguaglianze territoriali è nuovamente al centro dell’agenda di analisti e operatori che sono impegnati nel campo delle politiche pubbliche in Italia. Con la crisi economica del 2008, a cui l’Europa risponde con la ricetta dell’austerity, torna al centro del dibattito la questione della coesione tra aree territoriali che hanno beneficiato degli effetti della globalizzazione e dei relativi processi di accentramento dello sviluppo e territori che sono rimasti esclusi, relegati nella periferia, marginalizzati dalle scelte della politica. 

In questa geografia, frutto dell’onda lunga delle politiche neoliberiste che si affermano a partite dagli anni ’80, da un lato, si collocano le aree urbane vincenti su cui si catalizzano politiche e capitali e, dall’altro, si trovano i territori rurali fragili che appaiono sottoposti ad un processo di progressivo sistematico disinvestimento strategico, politico e culturale perché non in grado – secondo il paradigma neoliberista – di affrontare la gara della competizione. Dal 2016 emergono però ulteriori motivazioni politiche che spingono l’opinione pubblica a sottoporre ad una rinnovata attenzione questi territori marginalizzati. Prima il risultato del referendum sulla Brexit e successivamente la prima vittoria di Trump alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti insieme ai risultati conseguiti dai partiti sovranisti nelle elezioni politiche svolte nello stesso periodo in importanti stati europei vengono viste da molti politologi come la risposta rabbiosa dei cittadini di questi territori marginalizzati agli effetti della globalizzazione, una reazione che genera parallelamente una crescente domanda di protezione sociale. D’altronde le aree marginalizzate appaiono intimamente connesse alle tre grandi crisi che in questa epoca caratterizzano l’attuale sistema economico e sociale capitalistico. Parliamo della crisi ambientale, della crisi del modello di welfare state e della crisi migratoria. 

In questo contesto il numero 3-4 della Rivista del 2024 è dedicato al tema delle aree interne in Italia con particolare riguardo al peculiare nesso che lega questi territori con le attività dell’agroalimentare. Con questo numero, che si pone in una ideale continuità con quelli precedenti dedicati alla questione dalla sostenibilità nel settore agroalimentare (numero 1/2024) e alla tematica del cibo (numero 2/2024), la Fondazione Metes insieme alle altre attività di ricerca e a quelle di formazione della Scuola Politico-Sindacale prosegue il suo percorso di “contronarrazione” nell’ottica di proporre nuovo paradigma, che sia in grado di coniugare rispetto dell’ambiente a qualità del lavoro e progresso del benessere sociale. In Italia le aree interne sono state mappate nell’ambito dell’attuazione della strategia territoriale prevista della programmazione europea 2021-2017 utilizzando la distanza dai centri di offerta dei servizi di base di cittadinanza (trasporto, istruzione, sanità) come indicatore per la misurazione del grado di vulnerabilità territoriale. Nel complesso ricadono nelle aree interne quasi 4mila comuni, il 48,5% del totale nazionale, che occupano oltre il 117 mila kmq di superficie nazionale (58,8% del totale) e in cui risiedono 13,3 milioni di cittadini (22,6% del totale). Le aree interne appaiono però condizionate da un marcato declino demografico che viene evidenziato dalla flessione della popolazione residente (-700 mila residenti nel periodo 2014-2024) dovuta ai valori negativi che caratterizzano negli ultimi anni sia i saldi naturali – differenza tra nascite e decessi – sia quelli migratori. D’altronde secondo le previsioni demografiche dell’Istat nei prossimi vent’anni la popolazione delle aree interne potrebbe subire un ulteriore declino di oltre un milione di persone (-8,7% nel periodo 2024-2043). Per invertire questa tendenza è necessario far leva sulle numerose potenzialità possedute da questi territori. In questo senso il numero 3-4 della rivista dopo un’analisi originale della Fondazione Metes sulle caratteristiche e sulla trasformazione dell’agricoltura delle aree interne propone ulteriori contributi dedicati ad una riflessione sulle politiche europee e nazionali finora sperimentate per il rilancio di questi territori. D’altronde paradigmi alternativi per le aree interne sono già concretamente possibili. La rivista non dimentica, infine, di dedicare un approfondimento al nodo cruciale della domanda di servizi sociali che proviene dalle aree interne ed alla necessità di sviluppare quelle innovazioni del welfare territoriale già attualmente sperimentate nelle aree interne che dovranno essere integrate con gli strumenti del welfare tradizionale. 

Le aree interne hanno da sempre rappresentato un aspetto essenziale della vertenzialità del nostro sindacato. Già alla fine degli anni ‘70, assieme a pochi altri soggetti inascoltati (intellettuali, scrittori, artisti…) la Federbraccianti denunciava, infatti, gli effetti dello sviluppo distorto e squilibrato. In particolare nelle pagine di un numero della rivista “Lotte agrarie” del 1978 compariva, infatti, un chiaro appello: «lo sviluppo economico e sociale delle zone interne non solo è possibile ma è necessario». Oggi come allora è necessario puntare su questi territori abbandonando approcci indifferenziati e politiche “cieche ai luoghi” per provare a valorizzare il potenziale “emancipativo” delle aree interne anche per dare concretezza all’appello formulato dalla Federbraccianti negli anni ’70.

Massimiliano D’Alessio

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