Un saluto ad un ragazzo che perse la vita per il solo fatto di credere nella pace

Scritto quasi vent’anni fa, vale anche oggi. Gerusalemme, 10 agosto 2006, Angelo Frammartinopacifista vittima di guerra. Paradosso dovuto alla follia di un conflitto senza fine

La sera del 10 agosto 2006, a Gerusalemme, Angelo Frammartino, venticinquenne inviato volontario per un progetto dell’Arci e della ONG “Progetto Sviluppo Cgil”, è stato ucciso da un coetaneo arabo. Allo stesso campo di lavoro ho partecipato solo un anno fa, vivendo un’esperienza molto intensa, indimenticabile, di quelle che lasciano il segno. Non conoscevo personalmente Angelo, ma so bene che era lì per aiutare chi soffre e subisce ogni giorno violenza gratuita, frutto di anni di guerra e di incomprensioni. Era lì per portare un sorriso ai molti bambini e ragazzi che frequentano il Burj Al Laq Laq, un’associazione palestinese da anni impegnata nel recupero di giovani vite che sarebbero altrimenti destinate alla perdizione, in una terra divisa e afflitta da una contesa infinita. Ho passeggiato lungo le mura della città vecchia con i miei compagni di viaggio, davanti a quella stessa Porta di Damasco dove uno di noi, questa volta, ha perso la vita, inspiegabilmente ed ingiustamente. 

La notizia in Italia è arrivata nello stordimento e nell’incredulità di chi come me ha vissuto le forti emozioni che una città come Gerusalemme, con la sua gente, sa trasmettere. Non ci interessa in questa sede dare alcun giudizio né offrire adito ad una strumentalizzazione che sembra ormai inevitabile riguardo quello che spesso, e con una certa dose di superficialità, viene definito uno “scontro di civiltà”. Il senso di impotenza ma soprattutto la paura sono i sentimenti che più di altri sembrano toccare l’opinione pubblica rischiando però di paralizzarla in un provincialismo caro proprio perché conosciuto. Si è parlato infatti, anche in questo caso, di un atto compiuto contro l’Occidente senza considerare che è forse questa dissociazione tra “Noi” e “Loro” a rappresentare la principale causa delle più recenti guerre. Una dicotomia in grado di alimentare l’odio e il rancore che oggi affliggono tanti luoghi del mondo. 

Angelo però non aveva paura quando è partito il primo giorno di agosto per recarsi in una terra insanguinata. Lui credeva nella fratellanza dei popoli, nella solidarietà e nella giustizia, lui sapeva che migliaia di anime innocenti pagano ogni giorno le conseguenze terribili di un conflitto che non sembra avere mai fine. E suo padre certamente non ha avuto paura quando ha saputo perdonare l’assassino del suo ragazzo. Non è infatti la paura ma l’amore per la vita a spingere ogni giorno migliaia di volontari a partire per luoghi lontani e pericolosi, in nome di una convivenza civile fra le nazioni e sorretti da un senso di umanità che è in grado di varcare ogni confine. 

Un ragazzo, Angelo, che ha pagato con la vita il suo coraggio, la sua curiosità e soprattutto il desiderio di portare un po’ di serenità e di forza a chi ne ha più bisogno. Il conflitto israelo-palestinese è una tragedia che si ripete in un circolo vizioso, come tutte le altre realtà di conflitto e di miseria, cui oggi si è aggiunta la questione libanese. Una situazione che diventa ogni giorno più grave e che genera migliaia di vittime. 

Per la maggior parte delle persone nel nostro paese è forse una realtà lontana, percepita in sordina, ma per noi volontari o ex volontari, uniti da speranze comuni, in questo viaggio che è l’esistenza, non lo è affatto. 

Per tanta gente che crede in un mondo migliore la sofferenza altrui è tanto insopportabile quanto la propria. 

Alla famiglia Frammartino va tutto il calore e la vicinanza della nostra categoria. 

Ti abbraccio forte Angelo a nome di tutta la FLAI CGIL.

Valentina Cecconi

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