VII Rapporto agromafie e caporalato, sono oltre di 200.000 gli irregolari, sempre più poveri 

Un enorme bacino di disagio occupazionale, in cui le donne, ulteriormente penalizzate, sono circa 50mila. Con un tasso di irregolarità che tocca il 30%, contro una media del 15% dell’intero settore agroalimentare

Ancora una volta, il Rapporto agromafie e caporalato, il settimo della serie, offre la consueta istantanea, puntuale e circostanziata sulle insidie, le incrostazioni e i disvalori che snaturano l’essenza stessa del lavoro nell’economia primaria. Più di 200.000 lavoratrici e lavoratori che versano in una qualche condizione di irregolarità. Un immenso bacino di disagio occupazionale che annovera un’ampia quota di donne che si assestano su circa 50mila. E ancora un tasso di irregolarità per i dipendenti pari al 30%, oltre il 15% relativo all’intero settore agroalimentare. Numeri spropositati e allarmanti, che non si discostano molto dal precedente Rapporto pubblicato nel 2022, nonostante il lieve calo complessivo, verosimilmente spiegabile in ragione di una circostanza: i numeri più aggiornati si riconducono alla pandemia e al periodo immediatamente successivo. 

In un settore che vanta un valore economico di 73,5 miliardi e un valore aggiunto che si aggira attorno ai 40, solo per parlare della produzione strettamente agricola, e un milione di operai agricoli, dalla fotografia scattata dal VII Rapporto si configurano elementi di sedimentata strutturalità del fenomeno. 

Una vastissima gamma di irregolarità, che varia dal lavoro nero a diverse forme di mancato rispetto dei Contratti Collettivi, dalla intermediazione illecita di manodopera all’accostamento alla riduzione in schiavitù. Ancor più significativo è che le irregolarità riguardino tutte/i, senza distinzioni di provenienza o nazionalità, seppur in presenza di tantissimi migranti vittime di forme gravi di sfruttamento lavorativo e di emarginazione sociale. 

Gli approfondimenti territoriali del VII Rapporto appurano che il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura non sono semplificabili solo attraverso l’immagine stomachevole dei ghetti e dei luoghi di particolare concentrazione dimanodopera immigrata in prossimità di contesti a forte vocazione agricola. Diciamolo con forza: la logica dell’insediamento informale e del ghetto, che assicura la prossimità di manodopera vulnerabile ai luoghi dello sfruttamento, rappresenta una delle vergogne del Paese. 

Le insidie del caporalato e dello sfruttamento – persino la riduzione in schiavitù – simanifestano e si riproducono anche in contesti più miti in cui la produzione agricola si svolge nell’ordinarietà e non nell’emergenza sociale rappresentata dai ghetti. 

Nell’astigiano, nel crotonese, in Trentino e nella Val d’Agri, le dinamiche di caporalato e di sfruttamento lavorativo – anche grave – sono spesso occulte, ma non sono meno pervasive e ingiuste rispetto a quelle più plateali dei ghetti e dei luoghi di più estesa concentrazione di manodopera straniera.

Nel contesto specifico di Trento, l’intermediazione illegale di manodopera s’incardina anche con l’ausilio di nuove soggettività mediatrici: le cooperative multiservizi, in grado, spesso attraverso la violazione strutturale dei diritti, di assicurare forza lavoro just in time alle aziende. Una vera e propria spersonalizzazione della intermediazione lavorativa accertata per la prima volta dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle condizioni dei lavoratori in Italia del 1955 e che ancora oggi, 70 anni dopo, riemerge con forza. 

I quattro contesti analizzati dal VII Rapporto agromafie e caporalato confermano uno spaccato avvilente del lavoro in segmenti non di poco conto della produzione agricola italiana, e che richiede interventi di ampio respiro, sia in materia di legislazione sul lavoro agricolo sia, in maniera più generale, relativamente alla regolamentazione dell’immigrazione e della presenza straniera in Italia, partendo dalsuperamento della pessima e dannosa legge Bossi-Fini.

In questo quadro, si insinua la criminalità ambientale che impatta sulla filiera. Nel 2023 la geografia degli ecocrimini segna un significativo aumento dei reati e degli illeciti amministrativi in tutti i settori dell’agroalimentare (+9,1% rispetto al 2022). Aumentano significativamente le sanzioni penali e amministrative (+27,1%), le denunce (+45,7%), gli arresti (+3,9%) e soprattutto i sequestri, più che raddoppiati (+220,9%).

Un fenomeno, però, quello della criminalità organizzata, che ha meccanismi decisamente più profondi. 

Il filo invisibile che salda il reticolato nel suo complesso è, come sempre, economico. Ecco allora che diventa urgente “l’adozione di un paradigma agro-ecologico che consenta la definizione di una nuova declinazione del concetto di competitività in agricoltura”, come sostiene Giovanni Mininni, Segretario Generale FLAI- CGIL. La consapevolezza da assumere è che “siamo ad un bivio c’è una strada più lunga, più coraggiosa che traguarda il futuro in cui ambiente e lavoro siano garantiti, tutelati e rispettati e ce n’è un’altra – una scorciatoia – in cui l’unico obiettivo è quello di massimizzare il profitto anche a costo di rovinare il pianeta, sfruttare le persone e favorire le agromafie”. Si tratta semplicemente di una grande questione di giustizia sociale.

Jean René Bilongo

Matteo Bellegoni

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