“Mantova non è Rosarno. Ma non vorrei che a Rosarno cominciassero a dire non siamo Mantova”

La provocazione del segretario della Flai Cgil, Ivan Papazzoni, che con il  furgone del sindacato batte le campagne della provincia lombarda, ripresa in un articolo della Gazzetta di Mantova a firma di Igor Cipollina  

Ivan Papazzoni della Flai Cgil la mette giù così: “E’ vero, non siamo Rosarno. Ma non vorrei che a Rosarno cominciassero a dire non siamo Mantova”. E’ una provocazione per sollecitare a denunciare i casi di caporalato e le irregolarità in agricoltura, che penalizzano tutte le aziende. Sono convinto che all’ottima qualità dei nastri prodotti debba corrispondere l’ottima qualità di vita dei avaratari». Rosarno, Piana di Gioia Tauro, dove quattordici anni fa divampò la rivolta dei braccianti stranieri, piegati a condizioni disumane. E dove oggi la situazione resta desolante. Agrumeti e schiavitù.

La provocazione è bella carica, ma anche Mantova ha le sue ombre. Come i quattordici lavoratori (sui 57 controllati dall’Inps) messi in regala soltanto dopo il 19 giugno, quando in provincia di Latina morì dissanguato il bracciante Satnam Singh, abbandanato davanti alla sua abitazione dal titolare dell’azienda agricola per cui lavorava in nero. Lasciato agonizzante, senza un braccio. E via d’indignazione e controlli.

Ombre come le irregolarità riferite dalla cabina di regia della prefettura di Mantova: delle aziende passate sotta la lente, una sue due presenta almeno qualche sbavatura. Il tema è sfaccettato, investe e interroga anche le imprese pulite, che denunciano le semplificazioni di chi fa di tutta l’erba un fascio. “Il pregiudizio dell’agricoltura illegale”, scandisce Francesca Nadalini, dell’omonima azienda di Santa Croce di Sermide. “Il nostro scopo non è drammatizzare la situazione né penalizzare l’agricoltura mantovana tutta, ma cercare di contenere e risolvere il problema prima che diventi più grande”, rivendica Papazzoni, che da giugno a settembre percorre i campi della provincia per intercettare i braccianti e parlare con loro. Per informarli dei loro diritti.

«Non agiamo in incognito, ma con magliette, cappelli e volantini che ci identificano subito – racconta – dove le norme sulla sicurezza sono rispettate, i lavoratori si fermano a parlare. Altrove, invece, cercano di nascondersi. Quando non interviene qualcuno dell’azienda ad allontanarli non appena ci vede. Arriviamo fin dove riusciamo a spingerci. Cosa ci dicano i braccianti che si lasciano avvicinare? Che i ritmi sono un po’ troppo sostenuti e guadagnano troppo paco”.

E qui si apre un altro fronte, quello del lavoro grigio: delle buste paga formalmente corrette, con compensi orari tra i 9 e i 10 euro lordi, ma aggredite dal pizzo che spesso i lavoratori sono costretti a pagare. Per l’ospitalità (in soluzioni precarie), il trasporto, la chiamata al lavoro dal cugino del cugino del cugino. L’aberrazione delle norme.

Altro fenomeno ancora: “Si parla molto di aziende gestite da lavoratori stranieri, che sono quelle più borderline, spesso intercettate perché utilizzano metodi non corretti – aggiunge Papazzoni – la domanda che mi faccio, e ho rivolto anche in prefettura, è: a chi conferiscono il prodotto? Non credo che vendano direttamente alla grande distribuzione, né si vedono in giro col carretto. Il fenomeno assomiglia malto a quello dei laboratori cinesi nel distretta della calza, anni fa”.

“Quando si parla di caporalato e di schiavismo, ci si riferisce quasi sempre al settore dell’agricoltura”, osserva Francesca Nadalini, che ha preso in mano la gestione dell’azienda di famiglia. La fatica per il lavoro, con il moltiplicarsi degli ordini dei meloni, si somma all’amarezza per il pregiudizio che, a suo avviso, inquina i dibattito. “C’è pochissima attività di comunicazione relativa a quello che è il lavoro in campagna – argomenta Nadalini – c’è una scollamento tra la realtà quotidiana e i casi estremi che affiorano alle cronache, alimentando il pregiudizio dell’agricoltura illegale. Il bracciante morto dissanguato in provincia di Latina? E’ un terribile caso umano, non professionale”.

Imprenditore e presidente di Coldiretti per l’area di Felonica, Andrea Casta, risponde del sua e deIle situazioni che conosce: “Mi risulta che le irregolarità rilevate siano formali e facilmente sanabili – osserva – dal canto nostro, siamo impegnati a tenere alta la guardia e a investire nella formazione delle imprese associate. Anche perché i lavoratori sono un patrimonio da salvaguardare. In questa senso, la collaborazione con le istituzioni e il sindacato è assidua”. Quanto male fa il pregiudizio dell’agricoltura illegale? “Bene non fa – ammette Casta – non contesto i controlli, al contrario, è giusto che si facciano, ma purtroppo le mele marce ci sono in tutti i settari dell’impresa. Il nostro impegno é a migliorare sempre”. I buoni frutti del lavoro pulito.

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