Veneto, arrivano i permessi di soggiorno per i braccianti ridotti in schiavitù e salvati dalla Flai Cgil

Oggi sono stati finalmente rilasciati i permessi di soggiorno per 13 braccianti vittime di caporalato nelle campagne del trevigiano, che hanno vissuto in una situazione di para schiavitù denunciata dalla Flai Cgil del Veneto il luglio scorso presso la Procura della Repubblica di Treviso e resa nota all’opinione pubblica durante una conferenza stampa, con tanto di video che documentavano il dramma del lavoro nei campo dall’alba alla sera e la vita rinchiusi dentro un casolare fatiscente di Ponte di Piave (Tv).

“Oggi, dopo una lunga fase nel limbo, 13 dei 16 lavoratori che hanno avuto il coraggio di denunciare i propri aguzzini si sono visti riconoscere il diritto a soggiornare regolarmente nel nostro Paese – dichiara Giosuè Mattei, segretario generale Flai Veneto – grazie alle denunce fatte dalla Flai Cgil e alla presa in carico del Network del progetto Navigare. Il riconoscimento del permesso di soggiorno consentirà loro di entrare finalmente nel mercato del lavoro regolare e di uscire dal cono d’ombra che li ha resi invisibili nelle nostre campagne e all’opinione pubblica. Quella condizione di sfruttamento è un ricordo ancora vivido nella memoria di questi ragazzi, ma rappresenta il passato perché oggi vivono in una situazione alloggiativa dignitosa e protetta. Tutto questo è stato possibile grazie all’applicazione della Legge 199/2016, legge che ha potuto vedere la luce grazie alla spinta propulsiva della Flai dopo i tragici fatti della morte di Paola Clemente, avvenuta per la fatica del lavoro nelle campagne pugliesi nel luglio del 2015”.

“Voglio ricordare che in Veneto si stima che lo sfruttamento lavorativo in condizioni servili e il caporalato in agricoltura assoggetti 5.500 lavoratori – continua Mattei – numeri destinati ad aumentare a causa delle politiche securitarie di questo governo sul tema immigrazione, e a causa del nefasto combinato disposto della cosiddetta legge Bossi-Fini che rende la vita delle persone legata ad un atto amministrativo privo di ogni logica, e al decreto flussi che condanna questi lavoratori all’illegalità e allo sfruttamento. Le recenti modifiche al decreto sono una “foglia di fico” e non risolvono nessuno dei problemi che stiamo affrontando come organizzazione sindacale: meno del 20% delle richieste di manodopera e i successivi nulla osta per lavoro stagionale si traducono in un rapporto di lavoro effettivo. Abbiamo migliaia di lavoratori entrati nel nostro Paese regolarmente con un visto e un nulla osta che sono diventati irregolari a causa di tali leggi. Per questo chiediamo una regolarizzazione diffusa tramite una sanatoria con il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione che permetterebbe di fare uscire dallo sfruttamento queste persone e consentirebbe alle imprese di assumerli regolarmente, considerato il fabbisogno di manodopera che denunciano le associazioni di impresa. Infine, continuiamo la nostra battaglia per la cancellazione della legge Bossi-Fini cambiando il paradigma di approccio al tema delle migrazioni, uscendo dall’approccio ideologico ai fini elettorali e securitario della destra in questo Paese”.

Breve riepilogo dei fatti che hanno portato alla liberazione dei braccianti sfruttati

La vicenda risale alla primavera scorsa, quando alcuni braccianti sono entrati in contatto con la Flai Cgil del Veneto che ha raccolto le loro drammatiche testimonianze. Vivevano in un casolare nella campagna di Ponte di Piave, fino a 50 persone ammassate nella stessa casa, senza luce, acqua e gas, e senza nessuna minima condizione igienico sanitaria. Sfruttati per 12 o 14 ore al giorno da un caporale pakistano e da altri quattro sodali. Non hanno mai percepito nessuna retribuzione a causa del debito contratto con il caporale, il quale, con la promessa di un permesso di soggiorno facile, aveva chiesto e ottenuto da loro 5.000 euro per l’agognato documento, rivelatosi sostanzialmente una truffa. 

Per capire bene questa storia occorre fare un passo, perché è l’esempio tangibile del dramma umano che genera il combinato disposto tra il cosiddetto decreto flussi e la legge Bossi-Fini. 

Abbiamo la certezza che esista una rete trans-nazionale di compravendita dei nulla osta per lavoro stagionale in agricoltura che vengono richiesti da aziende fittizie, ovvero senza alcuna consistenza aziendale. Questi permessi per lavoro non subiscono nessun controllo dalle autorità istituzionali italiane e, una volta giunti nelle ambasciate dei Paesi di provenienza di questi lavoratori, inizia una vera e propria compravendita dei permessi di lavoro. Infatti, i lavoratori che abbiamo preso in carico hanno confermato che di aver acquistato i nulla osta per cifre che vanno dai 10.000 ai 15.000 euro, pagati ad intermediari e/o vere proprie agenzie che fanno pubblicità sui maggiori social network. 

I braccianti si sono fortemente indebitati nel loro Paese di origine, ipotecando casa e beni famigliari, o contraendo debiti con strozzini con tassi di interesse elevati. 

Una volta giunti in Italia, non sono stati accolti dalle aziende che ne hanno chiesto i nulla osta, ritrovandosi nel giro di qualche giorno irregolari nel nostro Paese.

La normativa vigente prevede che entro otto giorni dall’ingresso in Italia, questi lavoratori devano essere accolti dalle aziende che ne hanno fatto richiesta e segnalare l’ingresso allo sportello unico per l’immigrazione presso le Questure, nel quale si espletano le formalità per il rilascio del permesso di soggiorno, la sottoscrizione del contratto di lavoro e l’ospitalità per il soggiorno in Italia. Ma nulla di tutto ciò è avvenuto perché le aziende in questione erano aziende fittizie, oppure hanno fatto richiesta solo per vendere a qualche intermediario il permesso di lavoro.

Questi lavoratori si sono quindi ritrovati a girovagare lungo il Paese fino a quando non sono stati intercettati, attraverso la pubblicità sui social network, dal caporale pakistano che prometteva loro un permesso di soggiorno facile, lavoro e una casa. Ma presto tutte queste belle aspettative si sono rivelate un incubo. 

Infatti, per il permesso di soggiorno il caporale ha chiesto e ottenuto 5.000 euro di credito per ciascun lavoratore, da estinguere attraverso il proprio lavoro. La promessa di paga era di 6 euro/ora e 5 euro per ogni bins (cassoni da tre quintali che viene riempito con la frutta e verdura). Ma questi lavoratori non hanno mai ricevuto nessuna paga per via del debito contratto con il caporale. Inoltre, il permesso di soggiorno promesso si rivelava una mera ricevuta di trasmissione del kit postale, compilato in maniera approssimativa.

Ma il vero incubo sono state le condizioni di vita e di lavoro a cui erano costretti i braccianti: partenza alle 5 del mattino stipati in furgoni di fortuna, lavoravano ininterrottamente fino alle 19.00. Poi venivano lasciati nei campi fino alle 22.00, ovvero fino a quando il caporale o un suo sodale li andava a recuperare per rientrare a casa. Probabilmente venivano spostai di notte per evitare i controlli delle forze dell’ordine o perché non avessero punti di riferimento riconducibili alle aziende in cui lavoravano. A tarda sera quando venivano riportati nella casa fatiscente venivano segregati dentro e rinchiusi dall’esterno per non farli scappare. Le finestre erano sprangate da inferriate. 

Vivevano senza luce, acqua e gas. La sera riuscivano a turno a lavarsi tramite un filo d’acqua fredda che arrivava nella cucina. Alcuni di loro l’inverno scorso si sono ammalati di bronchite per il freddo, chi non poteva lavorare perché ammalato veniva buttato fuori di casa nel cuore della notte. Subivano minacce e ritorsioni di ogni genere, fin tanto che non hanno trovato il coraggio di denunciare.

Per il buon esito di questa vicenda vogliamo ringraziare i nostri legali dello Studio Paggi: gli avvocati Marco Paggi e Rosalinda Dieghi, e tutto lo staff della rete del Progetto regionale anti tratta Navigare per il loro supporto e per il prezioso lavoro che hanno condotto in sinergia alla Flai Cgil.

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