Unilever, vite operaie dietro un cuore di panna 

Frida Nacinovich 

Il cornetto Algida ‘cuor di panna’ che vediamo nella pubblicità e  abbiamo assaporato tante e tante volte, ha fatto innamorare generazioni di giovani. Ben pochi però sanno che la storica fabbrica artigianale romana di gelati, da più di mezzo secolo è di proprietà di un colosso dell’alimentazione e dei prodotti per l’igiene e per la casa. Si tratta di Unilever, una delle multinazionali più diffuse ai quattro angoli del pianeta, con un giro di affari annuo di circa 50miliardi di euro, e con marchi che tutti conoscono. Luigi Gattor lavora all’Unilever di Caivano, in provincia di Napoli, da 26 anni, e fa parte di un folto gruppo di lavoratrici e lavoratori ‘storici’ dello stabilimento. Gli addetti del sito produttivo sono circa 800, impegnati nella produzione di quello che potremmo definire il core business di Unilever, appunto i gelati. Dal Cornetto, gioiello della corona Algida, al prelibatissimo Magnum in tutti i suoi gusti. In particolare Gattor segue gli impianti complessi di pastorizzazione, insomma sta attento che il cuore del gelato risponda sempre ai più elevati standard di qualità. “Lavoriamo su tre turni – racconta – mattina, pomeriggio e notte, ciclo continuo h24, con il sabato e la domenica a scorrimento”. Gattor sottolinea come nei mesi caldi, quelli di punta per gli appassionati di gelato, i ritmi di lavoro siano frenetici. “In estate – spiega – i dipendenti diretti non bastano ad assicurare la produzione che per forza di cose aumenta considerevolmente. Unilever deve far ricorso a lavoratori interinali, i cosiddetti somministrati. In fabbrica ne arrivano circa 150. Una volta avevamo gli ‘stagionali storici’ che venivano via via stabilizzati, adesso l’azienda preferisce rivolgersi ad un’agenzia interinale”. Gattor rammenta che nel 1998 nello stabilimento di Caivano, alle porte della metropoli campana, erano più di mille. “L’introduzione di tecnologie sempre più avanzate ha sicuramente diminuito il bisogno di manodopera – osserva – Se da un lato il lavoro oggi è meno faticoso fisicamente, dall’altro è molto più stressante. Nella fabbrica 4.0 bisogna seguire continuamente corsi di aggiornamento”. Eletto nella rappresentanza sindacale unitaria come delegato per la Flai Cgil, Gattor rivendica il livello di sindacalizzazione all’interno dello stabilimento, dove la bandiera rossa della Flai contrassegna la maggioranza dei delegati. “Siamo riusciti a diventare un punto di riferimento per le lavoratrici e i lavoratori, e questo è molto importante”. Quando chiedi a Gattor quale siano i sacrifici più grandi per un operaio di Unilever, lui risponde senza pensarci due volte: “Lavorare il sabato e la domenica perché non puoi stare a casa nel fine settimana con i tuoi figli”. Poi il delegato della Flai Cgil torna a quella che per il sindacato resta una ferita non rimarginata: “Quando i precari venivano nel tempo stabilizzati, questo garantiva rapporti anche umani che nascevano e si cementavamo, con l’attuale frammentazione diventa tutto più complicato”. Gattor aveva 24 anni quando è entrato in fabbrica, prima di lui c’era suo padre. “Sono la seconda generazione qui. Ma, lo confesso, spero che i miei figli studino e facciano un lavoro meno pesante e non a ciclo continuo”. Perché le notti sono fatte per dormire. 

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