Caffitaly, raggiunto accordo per il rilancio di Gaggio Montano. Flai: Risultato importante, ridotti gli esuberi e scongiurata la dismissione

L’intesa fa calare del 70% i tagli al personale rispetto alle previsioni iniziali e scongiura in ogni caso procedure di licenziamento unilaterale. «Un piano di rilancio industriale che sembrava impossibile meno di un anno fa», spiegano i sindacalisti che hanno seguito la vicenda

L’assemblea dei lavoratori di Caffitaly a Gaggio Montano, nell’appennino bolognese, ha approvato ieri all’unanimità un accordo quadro su cui nei giorni scorsi si era trovata un’intesa tra proprietà e rappresentanze sindacali.

Si prospetta così una fase di uscita dalla grave crisi di cui è stata protagonista l’azienda bolognese, produttrice di capsule e macchine da caffè.

L’accordo prevede il ricorso alla Cassa integrazione straordinaria (Cigs) per riorganizzazione industriale, a partire dalla fine di gennaio, e un piano di investimenti che porterà nel corso dell’anno tre nuove linee di capsule nello stabilimento di Gaggio Montano (+90 milioni di unità  stimate nel 2026) e un aumento della produzione delle macchine per il caffè (+40% nel 2026).

L’intesa riduce inoltre gli esuberi a 44 unità, a fronte delle 112 precedentemente annunciate, prevedendo la possibilità di recuperare altre 10/15 attraverso lo strumento della Cassa integrazione. Verrà poi realizzato un articolato intervento di sostegno al reddito e di accompagnamento dei lavoratori che nel corso del programma di Cassa integrazione si rendessero disponibili alla risoluzione dei loro rapporti.

«Siamo molti soddisfatti per il raggiungimento dell’intesa e per la definizione di un piano che auspichiamo possa rappresentare una prospettiva per le maestranze di Caffitaly e per l’intero territorio, un piano di rilancio industriale che sembrava impossibile meno di un anno fa», commentano Valerio Bondi (segretario generale Flai Emilia Romagna), Marco Ramponi (segretario generale Flai Bologna) e Luigi Maiello (Flai Bologna) che hanno coordinato la vertenza.

«Anche se la situazione rimane seria e complessa – proseguono – crediamo che questo primo risultato sia un segnale di fiducia anche per tutte le realtà che hanno seguito Caffitaly in questa fase molto complicata».

«Non c’è dubbio che sia stata ricostruita una prospettiva industriale dello stabilimento, messi in campo tutti gli strumenti di protezione disponibili, ridotto il numero di esuberi nella misura del 70% rispetto alla previsione iniziale e comunque scongiurata una procedura di licenziamento unilaterale – dicono ancora i tre sindacalisti -. Fatti non banali, costruiti assieme e col consenso dei lavoratori e delle lavoratrici, ed è questo che ha fatto la differenza. Un grandissimo grazie va alle nostre delegate di fabbrica Valentina Bertelli, Angela Ventura e Marta Galimberti che sono state in questi lunghi mesi, con coraggio e dedizione, la prima linea di tenuta di una situazione davvero complessa».

Per comprendere meglio la vicenda Caffitaly – e approfondire il contesto in cui si è arrivati a questo accordo – bisogna fare un passo indietro.

L’involuzione della situazione finanziaria e industriale di Caffitaly esplode a marzo 2024, con la richiesta di accesso alla procedura di Composizione negoziata del credito (Cnc) e la presentazione di un piano di riassetto dell’attività che prevede la perdita produttiva di circa 100 milioni di capsule e il rischio di un esubero di 112 unità, pari a quasi due terzi del totale della forza lavoro.

Sono settimane di grande tensione, di paura e di smarrimento. Mentre l’azienda lavora per la messa in sicurezza della società, per la continuità operativa e per riallineare il piano finanziario all’interno della procedura, si apre il confronto sul futuro industriale. Le assemblee dei lavoratori parlano in modo chiaro. Il piano aziendale viene ritenuto socialmente insostenibile e inadeguato a garantire la tenuta produttiva. Per i lavoratori va cambiata radicalmente l’impostazione, per questo non escludono il presidio permanente dello stabilimento e il blocco totale della produzione.

Il primo snodo decisivo è del 16 giugno scorso. Al tavolo di crisi dell’area metropolitana di Bologna si sottoscrive un’intesa che recepisce i tre capisaldi della posizione sindacale: ri-saturazione produttiva dello stabilimento bolognese, costruzione di un equilibrio sociale sostenibile, attivazione degli strumenti di protezione sociale dei lavoratori e conseguente rinuncia a procedure unilaterali di licenziamento. Il confronto è serrato. Si implementa la cassa integrazione ordinaria e si lavora per iniziare a delineare lo scenario futuro.

Si arriva così a fine ottobre scorso. Dopo alcuni giorni di pesanti difficoltà che fanno temere il peggio si concretizza un “pre-accordo” finanziario tra soci e banche nel quadro della procedura di Cnc, che sancisce una consistente ricapitalizzazione dell’azienda ed un dimezzamento nei fatti dell’indebitamento. L’intesa consente al Tribunale di Bologna la proroga delle misure di protezione della società, che saranno estese fino alla fine di marzo 2025, data entro la quale dovrà essere omologato l’accordo di “ristrutturazione finanziaria” definitivo.

Nei mesi di novembre, dicembre e gennaio scorsi la discussione e il confronto si concentrano sul piano industriale e sulle misure di protezione dei lavoratori. Il 16 gennaio si raggiunge una intesa complessiva, dopo che le assemblee dei lavoratori avevano conferito un mandato finale a procedere. Si arriva così all’assemblea del 23 gennaio, quando l’accordo viene presentato ai lavoratori durante una gremitissima assemblea, che lo ha salutato con un lungo applauso approvandolo all’unanimità.

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