I lavoratori in agricoltura guadagnano troppo poco, ora lo dice anche l’Europa

I dati del VII Rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto dicono che più di tre quarti dei dipendenti agricoli ha percepito retribuzioni lorde annuali al di sotto della soglia di povertà

Qualcosa si muove, finalmente. La presa di posizione all’Europarlamento del gruppo dei Socialisti e dei Democratici in difesa del comparto dell’agricoltura, attraversato da tutta una serie di problemi che da anni chiedono risposte, fa capire che non si può mettere la testa troppo a lungo sotto la sabbia, come gli struzzi. “Gli agricoltori producono cibo di qualità e custodiscono il territorio. Il loro reddito però è ancora inadeguato”, sottolinea Camilla Laureti, eurodeputata del Pd, responsabile dem per le politiche agricole e vicepresidente del gruppo dei Socialisti e Democratici, che sarà l’autrice della relazione sul futuro dell’agricoltura e la Pac post 2027. “Ho proposto uno studio e provvederò a inviarlo al Commissario Hansen – aggiunge la parlamentare – Perché apprezziamo l’intervento sull’organizzazione dei mercati comuni e pratiche sleali, ma serve uno sforzo in più per sostenere gli agricoltori. Altrettanto utile sarebbe, e l’ho proposto in Commissione Agricoltura, l’ascolto dei protagonisti del settore agroalimentare, preoccupati dall’entrata in vigore dell’accordo Mercosur”. “Accanto al tema del reddito equo c’è quello delle condizioni di lavoro. Nell’Ue ci sono 10 milioni di lavoratori dipendenti nel settore e, se consideriamo gli stagionali, arriviamo a 17 milioni. Riconosciamo l’importanza della condizionalità sociale della Pac e l’adozione di direttive come quella per il salario minimo, ma nella prossima programmazione serve un salto di qualità: rafforzare la condizionalità sociale e, soprattutto, aumentare il numero di controlli. Dovremmo pensare ad istituire un tavolo, in cui gli stati membri riferiscano il numero e l’esito delle ispezioni svolte”, conclude Laureti. 

Purtroppo non è solo l’Italia ad essere interessata da persistenti fenomeni di sfruttamento e caporalatoi, anche negli altri paesi europei il settore primario vede moltiplicarsi patologie analoghe. Su questo fronte i dati del VII Rapporto Agromafie e caporalato della Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, sono illuminanti. Chi lavora in agricoltura è povero: ha una retribuzione media di 6 mila euro lordi all’anno, che arriva a 12 mila se ha anche un rapporto di lavoro in un altro settore. È irregolare nel 30 per cento dei casi:  200 mila in termini assoluti secondo le stime Istat. È spesso sottoposto a fenomeni di sfruttamento e caporalato finendo in meccanismi controllati dalla criminalità organizzata e, se è donna, è vittima tre volte, più sfruttata, meno pagata, spesso anche oggetto di molestie.

Nel 2022 il valore mediano della retribuzione lorda annua pro capite si colloca poco sopra i 6mila euro, mentre il valore medio supera di poco 7.500 euro. Andando nel dettaglio, più di tre quarti dei dipendenti agricoli ha percepito retribuzioni lorde annuali al di sotto della soglia di povertà retributiva stimata per i dipendenti delle imprese private dell’industria e dei servizi, mentre più del 45% ha avuto retribuzioni inferiori alla metà di quella stessa soglia. Un quarto dei dipendenti agricoli si è collocato sotto i 2.400 euro l’anno mentre, di contro, un ulteriore quarto ha vantato retribuzioni lorde superiori ai 10.400 euro. Solo il 20% dei dipendenti agricoli ha ricavato dal proprio lavoro più di 13mila euro lordi all’anno, mentre per il resto del settore privato questa soglia si è fissata a circa 30 mila euro.

«Il reddito corrispondente al primo quartile – si legge nel VII Rapporto – è particolarmente basso per i dipendenti extra-europei, per quelli con scarsa anzianità, per i dipendenti non residenti e per coloro che risiedono in convivenze. Esso risulta decisamente basso anche in alcune regioni del nord, e in particolare in Trentino-Alto Adige, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, ma anche in alcune aree del Centro (Marche, Molise e Abruzzo), e può essere generalmente associato a una maggiore tendenza a generare rapporti di lavoro di breve durata. Rispetto al Mezzogiorno, nelle regioni del nord vi è un più ampio ventaglio dei livelli retributivi, evidenza riscontrabile nel fatto che le retribuzioni medie e quelle corrispondenti al terzo quartile al nord sono relativamente più elevate».

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