Un impegno senza soste contro il caporalato

Quali prospettive future per sradicare sfruttamento e abusi nel settore agricolo italiano? Quali strategie, per questo 2025? Jean René Bilongo, capo dipartimento Politiche migratorie e legalità, fa il punto, ripercorrendo gli ultimi sedici anni di lotte del nostro sindacato

Sedici anni fa. Correva l’estate 2009 quando la Flai lanciò “Oro rosso”, l’imponente dispiegamento sindacale proattivo nelle campagne della Capitanata per denunciare gli abusi, le angherie, le vessazioni e la violenza a danno delle lavoratrici e dei lavoratori impegnati nell’economia primaria. Una stagione torbida, quella, segnata a livello globale dal crollo della banca d’affari Lehman Brothers i cui devastanti effetti si sarebbero riverberati da lì a poco sull’economia internazionale, provocando la peggior crisi economica – tutta imperniata sui “titoli tossici” – sin dalla Grande Depressione del 1929.

In Italia, sul versante del lavoro in agricoltura, era la stagione dei desaparecidos est europei, morti anomale nelle campagne della Puglia, quello stesso contesto che diede i natali a Giuseppe Di Vittorio, icona della lotta per la dignità dei lavoratori della terra, repentinamente catapultata alla ribalta per drammatiche vicende di torture, abusi, maltrattamenti, caporalato e sfruttamento.

Ai suoi albori, la mobilitazione della Flai contro il caporalato venne bollata da certuni come mera dolosa elucubrazione politica inscenata per gettare fango sul governo allora in carica. Da lì a poco, quello stesso governo avrebbe seguito un preciso indirizzo politico, attraverso la cosiddetta “direttiva Sacconi”, che si prefiggeva lo scopo di avviare un rinnovato e costruttivo rapporto con gli imprenditori, al fine di portare a compimento il processo di modernizzazione del mercato del lavoro. Concretamente, il concetto era di disarmante e rovinosa semplicità: niente ispezione senza preavviso all’azienda, obbligo di percorrere la conciliazione tra datore di lavoro e lavoratore in caso di abuso da quest’ultimo lamentato, irricevibilità delle denunce anonime per abusi.  In pratica, si mettevano a tacere i lavoratori e le organizzazioni sindacali non accondiscendenti.

LA STAGIONE DELLE RIVOLTE NELLE CAMPAGNE
Da lì a poco, sarebbero esplose la rivolta degli “schiavi” di Rosarno (Calabria) nel 2010, quella di Nardò (Puglia) nel 2011, la deflagrazione delle proteste di Castelnuovo Scrivia (Piemonte) nel 2012. A quella sequenza, si aggiunga l’avvisaglia di Castel Volturno, in Campania nel 2008, che il caso fece esplodere il giorno stesso in cui venne emanata la Direttiva Sacconi.

La latitanza della politica, le sue risposte timide, la sempre più diffusa consapevolezza del dramma dello sfruttamento e del caporalato, le drammatiche vicende fatte echeggiare dalla stampa, determineranno la necessità per la Flai di strutturare schemi propositivi per superare le criticità e ripristinare l’essenza del lavoro, la sua dignità, il suo valore in un settore quale l’agricoltura in cui detti cardini erano sempre più una chimera per tante lavoratrici e tanti lavoratori, come peraltro confermato dal Rapporto agromafie e caporalato, sin dalla sua prima edizione nel 2012.          

Da “Oro rosso”, di acqua n’è passata tanta sotto i ponti. Acqua talvolta tinta dal sangue delle vittime di caporalato e di sfruttamento, come nel caso di Paola Clemente, morta di fatica nelle campagne di Andria il 13 luglio 2015. Oppure Ioan Puscasu, morto a Carmagnola, in Piemonte, pochi giorni dopo Paola Clemente. I sedici morti dell’estate 2018 in Puglia. Un’infinita macabra conta alla quale vanno aggiunti i morti nei ghetti, le vittime dei pirati della strada nelle arterie vicinali o in aperta campagna, gl’infortunati abbandonati a destino funesto causa indifferenza da parte di chi avrebbe dovuto prestare soccorso, come narra la drammatica vicenda di Satnam Singh, nelle campagne dell’Agro Pontino.

LA LEGGE 199 C’È, MA LA RETE DEL LAVORO AGRICOLO LATITA
Va detto con chiarezza: l’idra dello sfruttamento e del caporalato è trasversalmente presente in tutto il Paese. Supera ampiamente i confini del Mezzogiorno. Va combattuta con la repressione, così come delineato dalla legge 199 del 2016 che identifica le condizioni spurie di lavoro fatte confluire nel novero degli “indici di sfruttamento”, nel novellato articolo 603 bis del Codice penale.

Accanto alla repressione, l’ecosistema della stessa legge 199 prevede anche uno macro-schema preventivo degli abusi, attraverso la Rete del lavoro agricolo di qualità (Relaq) cui sono chiamate ad iscriversi le aziende agricole. Le criticità dell’occupazione malsana in agricoltura, nodi come il trasporto dei lavoratori verso e dalle campagne, l’incontro tra offerta e domanda di lavoro nell’economia primaria, possono essere risolte nella cornice della Rete, che, a sua volta, dovrebbe qualificarsi in ogni provincia della Penisola attraverso le sue articolazioni, le Sezioni territoriali. A otto anni di distanza dalla legge 199,  l’insediamento della Rete ancora non è avvenuto in praticamente metà della province e, in molti contesti in cui è stata istituita, si è trattato di mera formalità. 

SUPERARE I GHETTI, BASTA ATTESE
Emergenza nell’emergenza, molti lavoratori dell’economia primaria hanno come unico orizzonte abitativo gli accampamenti rurali informali, i ghetti. Qui, si stipano in condizioni inenarrabili in vere e proprie cloache che fungono da serbatoi di manodopera da attingere, in base al ciclo delle colture. Il meccanismo è semplice: i lavoratori, soggiacenti a uno “stato di bisogno”, inteso come condizione di forte disagio che compromette le necessità primarie di vita, altra scelta non hanno se non quella di sottostare alle condizioni inique imposte. La cifra che ne emerge è nota: paghe misere, orari di lavoro proibitivi, soprusi, violenza. E talvolta morte.

Nel 2025, l’investimento sociale di 200 milioni di euro, nell’ecosistema del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr), per il superamento dei ghetti dev’essere una priorità.

LE RISORSE NELLA PAC, LA SCIAGURA DELLA BOSSI-FINI
L’approccio solutivo comunitario alle criticità del lavoro nell’economia rurale attraverso il pilastro della “condizionalità sociale” nella Politica agricola comune (Pac) richiede una declinazione concreta con schemi chiari di applicazione al livello nazionale.

Infine, non si può trascurare la spada di Damocle, minacciosa e possente, che rende fragili e reifica molti lavoratori stranieri: la legge Bossi-Fini. Ha generato un esercito di invisibili consegnati di fatto alle fauci dei caporali e alle grinfie dei caporali. La lotta contro l’idra dello sfruttamento è una lotta per la giustizia sociale. Non solo economica.

Jean René Bilongo
Capo dipartimento Politiche migratorie e legalità

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