Presentato a Milano il reportage fotografico di Davide Torbidi dedicato al terreno confiscato alla camorra a Scafati. Un progetto di Alpaa, Flai e Libera. Mininni: «In campo per una società migliore»
Nicola Nappo, un ragazzo. Onesto, volenteroso. Fabbro, figlio di contadini. Aveva 23 anni, tre fratelli e un amore, il 9 luglio 2009, quando fu ammazzato da due killer della camorra. Lo freddarono con sette colpi di pistola su una panchina a Poggiomarino, ventimila anime ad un tiro di schioppo da Scafati, nell’agro nocerino sarnese che si estende da Napoli a Salerno e lambisce quel patrimonio donato all’umanità che è Pompei. Ucciso mentre fantasticava di meravigliose sorti e si lamentava dei problemi quotidiani, dei problemi di tutti i poveri cristi, con la sua compagna. Davanti alla sede del Comune. Un atroce delitto, figlio del più atroce degli equivoci: lo scambiarono per un’altra persona. Era illibato, Nicola, e non ci volle molto perché la giustizia, perfino la giustizia italiana, lo acclarasse. Eppure, ancora oggi, la panchina dove Nicola incontrò la morte, è indistinguibile, priva del minimo cenno al suo destino tragico. Né una targa, né una pietra, né un fiore a ricordarlo.
LA RINASCITA
Però, e vivaddio, dal 2018, dodici ettari di terreno a Scafati strappati al clan del boss Galasso, che lì aveva insediato la sua sobria dimora, tra palme da Miami Vice, troni dell’epoca di Franceschiello e animali esotici, costituiscono il Fondo Nappo: 120mila metri quadrati che il Comune di Scafati, sette anni fa, ha assegnato all’A.t.s. (associazione temporanea di scopo) Terra Vi.Va, capofila di una rete cittadina che da allora gestisce il fondo agricolo intitolato a Nicola con l’Alpaa (Associazione lavoratori produttori agroalimentare ambientale), il sostegno della Flai Cgil e la collaborazione di Libera, l’associazione di Don Luigi Ciotti che lotta e stimola alla lotta contro le mafie. In sette anni, nonostante ripetuti furti, atti di vandalismo e intimidazioni, il Fondo Nappo è diventato un presidio unanimemente riconosciuto di legalità, lavoro regolare, sostenibilità ambientale, giustizia sociale. Un fiore all’occhiello in una terra che sa dare frutti dolcissimi e amarissimi.
Là dove c’erano terre incolte, rifiuti sversati, infrastrutture fatiscenti, oggi si producono i pomodori San Marzano Dop e il mais che finisce nelle buste di Bonduelle, ortaggi, frutta, tutto rigorosamente biologico, anche i prodotti destinati alla trasformazione, grazie ad accordi fatti con aziende del territorio; ci sono gli orti intitolati ai Cento Passi di Peppino Impastato dati in gestione alla cittadinanza; ci sono le cooperative di lavoratori immigrati che qui hanno trovato rifugio, formazione e lavoro; ci sono le iniziative culturali, musicali, i tirocini di Libera agli studenti universitari.
IL REPORTAGE
Ecco, questo straordinario esempio di recupero del territorio, legalità e giustizia sociale, oggi è raccontato dagli scatti di Davide Torbidi, sindacalista di professione – è stato segretario generale della Flai Cgil di Lodi – e fotografo per passione. Bravo, colpisce sempre nel segno, come quando, qualche anno fa, realizzò un reportage con le vittime degli incidenti sul lavoro che ancora oggi gira le scuole di mezza Italia. Foto in bianco e nero che colpiscono come cazzotti. È lui stesso a raccontare come è nato quest’ultimo progetto, nel corso della presentazione tenuta nella Sala Di Vittorio della Camera di Lavoro Metropolitana di Milano, davanti ad una platea di delegate e delegati appassionati, a un passo dal Palazzo di Giustizia. Giustizia, appunto: una delle parole chiave di questa esperienza, l’esperienza bella e avventurosa del Fondo Nappo.
«L’idea è nata in un momento preciso, durante la manifestazione di solidarietà che Cgil, Flai e Libera organizzarono a Scafati il 29 aprile 2023, dopo l’ennesimo atto di violenza subito dal Fondo per mano della criminalità. Quel giorno, mentre sfilava il corteo, mentre gridavamo che contro di noi, la nostra forza, la camorra non l’avrebbe avuta vinta, ho deciso che avrei voluto approfondire questa vicenda, la storia tragica di Nicola Nappo e la storia bellissima del Fondo a lui dedicato, e lo avrei fatto facendo parlare le immagini. Ho realizzato un reportage che racconta questo percorso di resilienza, riscatto e lotta per la libertà, che ha trasformato un luogo di paura in un simbolo di speranza e rinascita».
LA VITTORIA
La rinascita di un territorio, che è solo fisicamente distante dalla ricca Milano, così vicina all’Europa. «Eppure – racconta Alberto Semeraro, segretario generale della Flai Cgil della Lombardia – la criminalità è anche qui, ben radicata, e non c’è errore più grande che continuare a considerarla una cosa altra da noi. Proviamo a superare la lontananza tutta ideologica con le persone che lottano ogni giorno in prima linea per combattere le mafie». Un appello che condivide Luca Stanzione, segretario generale della Camera del lavoro Metropolitana di Milano: «Qui la mafia ha due facce, quella del caporalato che distribuisce il lavoro, e quella che si insinua nei gangli del potere. La denuncia politica non basta più, bisogna dotare delegati e delegati degli strumenti per riconosce l’infiltrazione mafiosa nei luoghi di lavoro».
Racconta, emozionato, Giuseppe Carotenuto, presidente dell’A.t.s. Terra Vi.Va e di Alpaa, animatore, ideatore, trascinatore di questo progetto: «Non ci sentiamo eroi, nessuno di noi, senza il contributo di tutti, anche dell’Anpi, non ce l’avremmo fatta. Ecco, oggi possiamo dire di aver vinto. Innanzitutto una battaglia culturale, quella di imporre il nostro racconto alla narrazione della camorra. Sì, abbiamo vinto, anche se non abbassiamo la guardia, perché fuori di qui abbiamo dimostrato che la criminalità si può sconfiggere. Non è stato facile, all’inizio abbiamo dovuto superare la paura, la gente non voleva nemmeno avvicinarsi a questo luogo – racconta Carotenuto -. Non è stato facile, la Flai ha avuto l’intelligenza di chiamare a raccolta tante realtà diverse, unite dalla voglia di sconfiggere la criminalità e restituire al territorio questo patrimonio. Abbiamo fatto tanti progressi, e oggi con orgoglio possiamo dire di essere pronti ad assumere dal primo febbraio il primo lavoratore immigrato, un ragazzo marocchino che si è formato con i nostri tirocini, e con lui saranno sei le persone che si mantengono grazie all’attività del Fondo Nappo. Il rapporto con le istituzioni? Difficile, ma in questo fondo, che è aperto a tutti, di qualunque coloro politico, c’è la Cgil, e con noi devono fare i conti».
IL RIUSO SOCIALE
Mariano Di Palma, componente della presidenza nazionale di Libera, che nel 2025 festeggia i suoi trenta anni: «Dietro la riappropriazione di beni che erano simboli del potere della criminalità come il Fondo Nappo, c’è la restituzione ai cittadini del potere di organizzarsi, in iniziative di giustizia sociale, welfare, lavoro. Questo Fondo doveva diventare una grande clinica privata – racconta – e l’impegno di cittadine e cittadini lo ha impedito, spingendo il Comune a sposare il nostro progetto. La Flai ha compiuto un atto di grande coraggio scegliendo di sostenerci. Non solo il riuso sociale di beni conquistati ma anche la presenza degli orti sociali è un elemento importante: le 120 famiglie che lavorano quegli orti raccontano di un prezioso meccanismo di partecipazione, rappresentano la comunità di Scafati. Tutto questo è importante raccontarcelo a Milano, la seconda città italiana per beni confiscati alla criminalità, e in Lombardia, la seconda regione per infiltrazione della ndrangheta. L’attacco che subisce il riuso sociale dei beni confiscati oggi è pesante, e allora alziamo lo sguardo perché la battaglia è più ampia, collettiva, nazionale, in difesa dei principi dell’antimafia sociale, contro un modello di sviluppo economico e di ingiustizia sociale che ormai troviamo dappertutto».
LA NOSTRA IDENTITÀ
Le conclusioni sono affidate al segretario generale della Flai Cgil Giovanni Mininni: «Quello che abbiamo realizzato tutti insieme con il Fondo Nappo è stato possibile grazie al contributo di tutti, iscritti della Flai e quindi della Cgil, ecco perché queste iniziative sono un modo per restituire qualcosa a lavoratrici e lavoratori. La Flai è un’organizzazione sindacale che rivendica giustizia sociale, che parte dal lavoro e guarda all’intera società. L’impegno nel Fondo Nappo, come quello con Mediterranea in mare per i migranti e Un ponte per in Palestina, dà un senso a tutti noi della Flai che siamo quotidianamente impegnati nel costruire una società più giusta, a partire dal lavoro».
Il racconto di sette anni di impegno, lotte, sacrifici. «Insieme a Libera, abbiamo restituito un’identità a quel luogo – spiega Mininni -, abbiamo raccontato a tutti che era stato liberato, ecco perché spesso ci hanno rubato le bandiere o rovesciato spazzatura per inquinare la nostra attività. Quando c’è il nulla, prevale il simbolo mafioso. Nel 2023, dopo l’ennesimo furto, in una settimana grazie a Maurizio Landini e Don Ciotti organizzammo una manifestazione nazionale cui parteciparono tantissime persone: quello ci fece capire che non saremmo stati sconfitti. E infatti, da allora, nessuno è più venuto a rubare le bandiere. Oggi, al Fondo Nappo si organizzano addirittura delle gare di ciclismo, segno che la sua integrazione nel territorio ormai è irreversibile».
Una storia che spiega il senso di un’organizzazione sindacale come la Flai. «Agire, non fermarci alle parole, alle intenzioni, alle fotografie – dichiara Mininni -. Mettere in moto meccanismi sociali che tutti hanno voglia di far crescere. Noi abbiamo il dovere di creare questi spazi liberati, in cui far vivere una cultura di legalità, che trasmetta una visione della società diversa, migliore, in cui le istituzioni siano finalmente chiamate alle loro responsabilità, e il lavoro sia liberato dallo sfruttamento e dalle infiltrazioni della criminalità».
Tra le foto realizzate da Davide Torbidi, una reca soltanto una scritta: «Nicola si faceva volere bene da tutti, era un ragazzo che dava il cuore… ogni volta che vengo su questo Fondo provo una grandissima emozione, perché rivivo la memoria di mio figlio». Firmato, Elisa Balzano.