Giornata dei migranti, in Friuli c’è chi ha detto no agli sfruttatori 

“Voglio che mio figlio imbracci una penna e non un fucile”, il silenzio è quasi palpabile nel teatro Arrigoni, a San Vito del Tagliamento, nel pordenonese, mentre Muhammad racconta la sua storia di vittima del caporalato. Anche se siamo in teatro Muhammad non è un attore, è uno dei 47 migranti pakistani che hanno trovato il coraggio di ribellarsi ai loro caporali. Una storia che ha portato al rinvio a giudizio di due persone, e soprattutto al rilascio di permessi di soggiorno per motivi di grave sfruttamento. “Alcuni lavoratori pakistani si sono presentati nella sede della Flai Cgil di Pordenone – racconta la segretaria generale Dina Sovran – chiedendo aiuto perché erano stati truffati dai loro caporali. La vertenza è stata lunga, ed ha portato alla luce un vasto giro di sfruttamento. Dietro ai due pakistani adesso rinviati a giudizio ci sono anche le aziende italiane che, consapevoli o meno, hanno permesso che questi lavoratori venissero sfruttati”. Nella Giornata internazionale dei migranti, si accendono i riflettori sulle quasi quotidiane, insopportabili tragedie che avvengono nel Mediterraneo centrale, ma anche su storie come queste, di uno sfruttamento che sembra quasi ‘normale’. Di fatto si paga la tangente ai connazionali già inseriti nel mondo del lavoro, pur di inviare i (pochi) sodi guadagnati alle famiglie rimaste in Pakistan. In una terra che ha storicamente conosciuto le migrazioni per sfuggire alla miseria e conquistare una vita dignitosa, in quel Friuli dove si produce vino di gran qualità, la piaga del caporalato è ancora aperta. Nel teatro ci sono 75 piccole bandiere diverse, una per ogni nazionalità di chi ha lavorato in questa regione. Una fotografia che descrive più di tante parole la realtà delle migrazioni, che si susseguono, come le stagioni, nonostante qualcuno cerchi stupidamente di contrastarle. Friuli terra di emigrazione, Friuli terra di immigrazione, dove 9 lavoratori su 100 sono irregolari, tasso che sale a 17 in agricoltura secondo l’elaborazione Ires. Nasir, Bashir, Khalid hanno fatto viaggi lunghissimi, sfidato la sorte, sono stati malmenati, derubati, taglieggiati da presunti tutori dell’ordine, traditi dagli stessi loro connazionali diventati caporali, costretti a vivere in condizioni inaccettabili, sottoposti a turni massacranti, anche quattordici ore al giorno. E non puoi dire di no. Non ti puoi rifiutare, perché non conosci la lingua e il permesso di soggiorno viene usato come arma di ricatto. Una spirale perversa che si può, si deve interrompere. Intervengono Maurizio Marcon, segretario generale della Cgil di Pordenone, Don Paolo Iannacone, presidente del centro Balducci di Udine, Alessandro Russo, Ires Friuli Venezia Giulia, Davide Cardia, comandante provinciale della Guardia di Finanza, Marco Paggi, avvocato diritto del lavoro e diritto dell’immigrazione, Ivana Coloricchio, direttrice patronato Inca. Si parla di integrazione fra le rosse bandiere della Cgil e l’arcobaleno della pace, che non manca mai perché la guerra è una follia che tutto cancella. “O i campi si lavorano da soli, oppure qualcosa non torna nella narrazione di chi vuole che questi lavoratori restino invisibili, senza diritti”, sottolinea Andrea Gambillara, segreteria nazionale della Flai Cgil. Ci Sono Jean René Bilongo e Matteo Bellegoni dell’Osservatorio Placido Rizzotto con le loro preziose pubblicazioni che mettono a nudo una realtà intollerabile, che la Flai contrasta facendo sindacato di strada. Le ultime immagini sono quelle di Nasir, Bashir, Khalid e gli altri in Cgil, sui banchi di scuola, perché “l’istruzione e la formazione sono le armi più potenti per cambiare il mondo”, ricordando la lezione di Nelson Mandela.  

La storia su Collettiva

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