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Il caporalato “nascosto” nel ricco Nord

Nel nuovo dossier dell’associazione Terra! presentato ieri a Milano a finire sotto la lente d’ingrandimento sono Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Lombardia. Tra cooperative senza terra e lavoratori in appalto, lo sfruttamento in agricoltura tenta di occultarsi e si espande anche nelle produzioni ad alto valore aggiunto

Nuove forme di intermediazione illecita, manodopera straniera sempre più ricattabile, prezzi imposti dalle catene dei supermercati, la questione abitativa. Sono solo alcuni dei fattori che hanno favorito il dilagare dello sfruttamento in agricoltura nel Settentrione. L’associazione ambientalista Terra! li prende in esame nel suo ultimo dossier, “Gli ingredienti del caporalato – Il caso del Nord Italia”, presentato in anteprima ieri a Milano

A finire sotto la lente di ingrandimento sono Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Lombardia. Ne emerge un quadro allarmante e mutevole, fatto di tecniche talvolta sofisticate e per certi versi “innovative” che le aziende che decidono di muoversi nell’illegalità stanno affinando, per comprimere ancora di più il costo del lavoro senza essere scoperte. Come, ad esempio, il ricorso a cooperative “spurie” o “senza terra”, particolarmente attive in Piemonte, che forniscono servizi agricoli e manodopera ma sono prive di appezzamenti. Queste coop hanno spesso sedi fittizie, utilizzano codici Ateco diversi da quelli agricoli per rendersi opache e sfruttano buchi normativi per eludere i controlli. 

In Friuli invece, secondo le evidenze del report, spesso la manodopera viene reclutata attraverso un intermediario che con la sua ditta individuale forma squadre di lavoratori con le quali offre servizi in appalto alle imprese agricole. Entrambe sono declinazioni di quello che viene definito “pilatismo aziendale” che scarica i costi e l’onere del reclutamento, ma anche le responsabilità, dalle imprese agricole a quelle in appalto e rende il caporalato un fenomeno meno evidente e facile da disinnescare. 

Poi c’è il ruolo della Grande distribuzione organizzata, la cosiddetta Gdo, che ad oggi controlla l’80% dei consumi alimentari dei cittadini e col suo strapotere è in grado di imporre i prezzi ai produttori agricoli, che spesso si trovano a vendere le loro merci sottocosto. «Il problema è che decide tutto la Gdo quindi sono obbligato a vendere al di sotto del prezzo di produzione. Il mio ricavo è zero» racconta nel dossier un produttore di frutta di Saluzzo, in provincia di Cuneo

Il report si basa su inchieste sul campo condotte da un team di ricercatrici e ricercatori, che hanno preso in esame in particolare i comparti vitivinicolo e ortofrutticolo della provincia di Cuneo in Piemonte (Alba e Saluzzo), la produzione del Prosecco nella provincia di Treviso in Veneto e le colture vitivinicole del Friuli Venezia Giulia dei Colli Orientali e del Friuli Occidentale (Pordenone e parte di Udine). 

L’analisi del caso lombardo riprende un precedente dossier di Terra!, “Cibo e sfruttamento. Made in Lombardia”, a cui però si aggiunge ora un’appendice, un Policy brief che – oltre a ricostruire dati e analisi dell’economia agricola del territorio – contiene alcune raccomandazioni rivolte alla Regione, alla Giunta e a diversi portatori di interesse, per prevenire e contrastare con efficacia il fenomeno.

«Per comprendere il caporalato dobbiamo guardare a quello che succede lungo la filiera, quali sono le distorsioni» commenta Fabio Ciconte, presidente dell’associazione Terra!. «Questo report chiarisce che, esattamente come accade nel Sud Italia, anche nel ricco Nord, gli ingredienti del caporalato sono pressoché invariati – aggiunge Ciconte -. Fattori che denunciamo da tempo, che stanno diventando sempre più complessi, su cui la politica stenta a intervenire». 

«Dopo la morte di Satnam Singh a Latina, non si è fatto altro che parlare di caporalato – prosegue il presidente di Terra! – Oggi ci siamo dimenticati di quanto stia soffrendo l’agricoltura e di chi ci lavora. Serve invece che la politica lanci un segnale, perché prevenire lo sfruttamento, renderlo antieconomico, significa lavorare per colmare quei vuoti in cui si annida: l’incontro domanda-offerta di lavoro, i trasporti e la casa per chi lavora. Sono questioni strutturali che vanno risolte definitivamente, perché si tratta di diritti, di dignità, ma anche di futuro di un settore già troppo in crisi». 

Nel rapporto di Terra! – 140 pagine che racchiudono le ricerche di Paolo Attanasio, Giosuè Gianluca De Salvo, Ilaria Ippolito, Davide Marchi, di cui Maria Panariello ha curato il coordinamento editoriale – sono contenute diverse testimonianze e contributi di sindacaliste e sindacalisti Flai, e vengono citati i recenti lavori di ricerca curati dal sindacato dell’agroindustria. 

Ad intervenire alla presentazione milanese, anche la nostra segretaria nazionale Silvia Guaraldi. «Come anche noi denunciamo da anni grazie alle tante vertenze della Flai e alle indagini dell’Osservatorio Placido Rizzotto – commenta la segretaria – lo sfruttamento lavorativo in agricoltura è piaga per nulla marginale anche per le regioni del Nord del paese e coinvolge filiere redditizie e pregiate. Abbiamo portato il nostro contributo al dibattito, certi che potremmo unire le forze per delineare proposte concrete contro il caporalato in agricoltura a partire dalla piena applicazione della Legge 199».  

«Occorre rilanciare l’istituzione in ogni provincia delle Sezioni territoriali della Rete del lavoro agricolo di qualità, strumenti utili a promuovere sinergie tra istituzioni, sindacati e organizzazioni datoriali per rifondare un luogo pubblico e trasparente per l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro, per trovare soluzioni al trasporto dei lavoratori e delle lavoratrici e ad un loro alloggio dignitoso – chiosa Guaraldi -. Servono infine controlli efficaci e capillari e occorre abrogare la Bossi Fini e i suoni meccanismi perversi forieri di illegalità e sfruttamento».

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