Il sindacalista fotografo Davide Torbidi: Racconto il Fondo in cui Nicola Nappo è ancora vivo

Da sempre appassionato di scatti che denunciano le ingiustizie sociali, tra gli organizzatori del Festival della fotografia etica, l’ex segretario Flai di Lodi ha dedicato un reportage al progetto di agricoltura e antimafia sociale realizzato a Scafati in un terreno confiscato alla camorra

“Qui la camorra ha perso”. Lo si legge in un murales immortalato al Fondo Nappo da Davide Torbidi. Ex segretario della Flai di Lodi – attualmente con un incarico in Cgil – ha dedicato un ricco lavoro fotografico al progetto nato a Scafati (Salerno) in seguito alla confisca di un terreno agricolo alla camorra. Il Fondo Nappo, per la precisione, è il più grande appezzamento sottratto alla criminalità organizzata nell’agro nocerino sarnese. Ma è anche molto altro. È antimafia sociale, tutela del patrimonio ambientale, agricoltura sostenibile. Persino un polo culturale per i giovani del luogo.

Una ricchezza che Torbidi cattura e restituisce nei suoi scatti, presentati il 29 gennaio con la mostra “Ti racconto il fondo Nappo” organizzata alla Camera del lavoro di Milano. Sono circa 60 le foto, in 10 pannelli. «Il mio racconto fotografico parte dalla manifestazione del 29 aprile 2023, quando Cgil, Flai, Alpaa e Libera sono scese in piazza a Scafati» ci racconta Torbidi. Nel mese precedente alla mobilitazione c’erano stati tre episodi di vandalismo e furti ai danni del Fondo Nappo, tre intimidazioni. Quell’iniziativa, dunque, voleva essere una risposta di sindacato, associazioni e società civile in difesa di un progetto “scomodo” per la malavita, in cui sin dall’inizio la Flai ha creduto, sostenendolo e promuovendo le sue attività.

Uno scatto del reportage di Davide Torbidi dedicato al Fondo Nappo, esposto alla Camera del lavoro di Milano

Il reportage fotografico prosegue con le foto che descrivono il Fondo e ciò che si fa in quel luogo. Dopodiché «il mio percorso per immagini arriva a Nicola Nappo, colui al quale il fondo è intitolato – spiega Torbidi – e a quella panchina di Poggiomarino». La sera del 9 luglio 2009 Nicola è seduto proprio lì, in piazza de Marinis, nel piccolo comune a nord di Scafati. Chiacchiera con una amica. Nicola fa il fabbro, ha 23 anni, tre fratelli e per lui è una sera tranquilla. All’improvviso due malavitosi arrivano in piazza e gli esplodono addosso 6-7 colpi di pistola. Nicola muore subito, vittima di uno scambio di persona. Già, perché lui con la camorra non c’entra nulla, come poi chiarirà anche l’iter giudiziario.

«Quella di Nicola è una storia che ti segna e ti resta addosso – torna a dire il sindacalista -. Dopo aver partecipato alla manifestazione dell’aprile 2023, avevo voglia di approfondire la sua vicenda e raccontare in che modo la sua memoria vivesse nel Fondo Nappo. Così sono sceso da Lodi e mi sono immerso nella realtà del progetto che porta il suo nome e in quella del paese dove viveva, Poggiomarino». Fino a trovarsi davanti a quella panchina.

«L’ho fotografata mentre vi si avvicina una passante, per dare un senso di distanza, ma anche di vita – ci dice Torbidi -. La borsa rossa che porta la signora che cammina richiama quel sangue versato. Ma Nicola Nappo, dobbiamo dirlo, non è morto invano. Una parte di lui continua a vivere nel progetto del Fondo, in quelle persone in cerca di libertà e di riscatto che continuano ad impegnarsi lì ogni giorno».

Uno scatto del reportage di Davide Torbidi dedicato al Fondo Nappo, esposto alla Camera del lavoro di Milano

È un lavoro attento quello di Torbidi. E non è il primo. La sua passione per le foto nasce quando aveva vent’anni, «sin da quando ero militare di leva» ci dice, e lo ha portato a organizzare con l’associazione di cui è presidente, Gruppo fotografico progetto immagine, il Festival della fotografia etica a Lodi. «L’anno scorso siamo giunti alla 15esima edizione – spiega Torbidi -. Il nostro circuito ha richiamato circa 21mila presenze, la kermesse ha un respiro internazionale ormai. Portiamo qui reportage che accendono un faro sulle ingiustizie sociali nel mondo. È una grande soddisfazione».

Tra gli altri lavori fotografici di Torbidi, ce n’è uno che il sindacalista sta portando nelle scuole e nelle fabbriche. Si intitola “Ho visto e non ho più dimenticato” e raccoglie immagini e testimonianze di infortunati sul lavoro o di familiari di chi non c’è più. Persone che talvolta partecipano alle presentazioni, raccontando le vicende che hanno cambiato le loro esistenze e le loro abitudini, il loro modo di vedere il futuro, le loro condizioni economiche e sociali. Finanche, nel caso delle vittime, il loro rapporto col proprio corpo duramente colpito o mutilato.

«C’è uno scatto a cui tengo particolarmente – racconta Torbidi -. Mostra una madre che guarda sul pc una foto del figlio, un giovane di 25 anni, schiacciato da alcuni rulli nell’azienda in cui ha perso la vita. La signora aveva ricevuto quell’immagine insieme ad altre di quel tipo all’interno del fascicolo giudiziario. Ha scelto di mostrarmela e mi ha permesso di fotografarla mentre tornava a guardarla. È un’immagine molto forte. Le persone piangono quando la vedono durante le presentazioni a cui quella mamma spesso mi accompagna, portando la propria dolorosa ma importante testimonianza. Uno stimolo a lottare per mettere fine al dramma delle morti sul lavoro».

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