Mininni: “Per il mondo del lavoro la pace è una necessità”

All’assemblea delle delegate e dei delegati Cgil, il segretario generale della Flai boccia il piano Draghi e chiede il cessate il fuoco in tutte le guerre che distruggono anche la giustizia sociale

L’intelligenza del lavoro significa anche ricordare e non dimenticare mai che le guerre azzerano diritti e tutele, creando un mondo ancora più ingiusto. Gli applausi forti delle delegate e dei delegati che affollano il teatro Gaber di Milano accompagnano il passaggio del segretario generale della Flai Cgil, Giovanni Mininni, contro i conflitti armati che insanguinano il pianeta provocando lutti, sofferenze, devastazioni immani. “Ci troviamo in un’economia di guerra. Bisogna uscire dall’ipocrisia – spiega dal palco Mininni – Questa crisi ha origini chiare, come d’altronde ha riconosciuto lo stesso Mario Draghi. E l’economia di guerra impone al movimento sindacale, alla Cgil, di chiedere immediatamente la pace incondizionata, il cessate il fuoco per tutte le guerre. Insieme alle nostre rivendicazioni contrattuali, la pace deve essere messa prima di tutto, anche per invertire la tendenza di un’economia che sta velocemente andando verso la recessione. Il signor Draghi propone competitività, puntando sull’apparato industriale militare in Europa. Peccato che il 78% delle armi che l’Italia ha spedito in Ucraina fossero state acquistate dagli Stati Uniti, che infatti crescono del 2,8% mentre l’Europa è in recessione. Senza dimenticare che il gas russo ha mandato immediatamente la Germania in recessione”. 

“Di cosa ha beneficiato l’Europa? – chiede il segretario generale della Flai Cgil – Di nulla. Anche perché non era e non è una guerra nostra. E allora a Draghi bisogna contestare la strada scelta. E continuare a scommettere sull’Europa del Green Deal, della qualità della vita, del buon cibo. L’Europa per la quale anche la nostra categoria si è sempre battuta. Questo è il modello di sviluppo che vogliamo. Chiediamo la pace non perché siamo buoni, anime belle. Siamo arrabbiati neri perché non vogliamo la guerra, una guerra che oltre ad ammazzare le persone creerà un mondo peggiore. Vogliamo che lo sciopero del 29 novembre riesca bene, che abbia effetti importanti e visibili. E ogni opportunità è buona per ricordare che siamo già in campagna referendaria. La storia ultracentenaria della Cgil dimostra che abbiamo le carte in regola per raggiungere l’obiettivo di portare 25 milioni di persone a votare per referendum giusti, che disegnano un mondo migliore e non di guerra”.      

In termini di fatturato, la filiera agroalimentare in Italia nel 2023 valeva  550 miliardi di euro e, secondo i dati Istat, sempre nel 2023 l’agroindustria italiana si è attestata al primo posto fra i settori manifatturieri con 193 miliardi. Alla fine del 2024 la vendita all’estero di prodotti agroalimentari italiani potrebbero superare la cifra record di 70 miliardi di euro. L’occupazione nella filiera vale oltre un milione e mezzo di lavoratori di cui 460mila solo dell’industria alimentare. “Numeri importanti, positivi, ma questa ricchezza va redistribuita – puntualizza Mininni – questo è il ruolo delle delegate e dei delegati. E l’agroindustria risente di politiche neoliberiste che mortificano e comprimono sempre e solo il lavoro. C’è il problema della precarietà, nell’industria alimentare stiamo cominciando a contrattarne il dimezzamento. Ma il part time è ancora troppo elevato, arriva al 35% e allora dobbiamo rimboccarci le maniche per farlo diminuire. Il sindacato deve essere concreto, perché la contrattazione è una cosa concreta, si interviene redistribuendo risorse, e anche cambiando i modelli organizzativi. Abbiamo bisogno di pulire la filiera dallo sfruttamento e dal caporalato, con un’ottima legge che abbiamo contribuito a fare approvare. Un’autentica piaga che non è solo in agricoltura, la cui economia sommersa arriva a 28 miliardi di euro, con un’irregolarità di oltre il 35%. La nostra lotta contro lo sfruttamento e il caporalato riguarda anche l’industria con infiltrazione di colletti bianchi, aziende senza terra, cooperative spurie, false, che spesso si annidano negli appalti a cascata. Queste sono le sfide che la categoria quotidianamente affronta. E che ci riportano alla mente l’omicidio di Satnam, solo come emblema di quello che accade nel nostro mondo del lavoro”.

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