«Il sospetto che aleggia – commenta il capo dipartimento Immigrazione e legalità Flai Matteo Bellegoni – è che il governo temporeggi perché vuole dirottare i fondi verso altri progetti, come la costruzione di nuovi Centri di permanenza per il rimpatrio. Così verrebbe completamente snaturato il senso del provvedimento»
Sono 245 le persone in forte disagio abitativo che lavorano nelle serre e nei campi nel comune di Albenga, in provincia di Savona. Per risolvere il loro problema, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) prevede, in teoria, 4 milioni di euro. Risorse mai viste. A fare il punto sulla vicenda, ieri, ci ha pensato l’Avvenire, con un reportage di Diego Motta. Ma il problema ha una dimensione nazionale.
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In tutto sono 200 i milioni di euro stanziati col Pnrr per il «superamento degli insediamenti abusivi per combattere lo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura». La voce di investimento fa parte della Missione 5 del Piano e il suo scopo è quello di «creare o ristrutturare alloggi per i lavoratori del settore agricolo, per dare loro alloggi dignitosi ed eliminare così le infiltrazioni di gruppi criminali», in continuità con gli indirizzi del Piano triennale anti caporalato 2020-2022 del ministero del Lavoro.
«Il problema è che questi soldi dovrebbero essere anticipati dal governo, ma il governo non sembra intenzionato a farlo a quanto pare – dichiara Matteo Bellegoni, capo dipartimento Politiche migratorie e legalità della Flai Cgil nazionale -. Dopo che l’esecutivo ha nominato lo scorso giugno, con mesi di ritardo, l’ex prefetto di Latina Maurizio Falco come commissario straordinario per attuare queste misure, ancora non è stato speso un euro».
Nel frattempo, il commissario Falco ha potuto visitare e ispezionare i luoghi in cui i 200 milioni dovrebbero essere spesi. Sono in tutto 37 i comuni italiani individuati, dove maggiore è la presenza di lavatori e lavoratrici agricoli in disagio abitativo e a rischio sfruttamento. Quasi tutti i Comuni hanno presentato progetti per “mettere a terra” i finanziamenti, «con poche eccezioni» commenta Bellegoni.
«Il sospetto che aleggia – prosegue il capo dipartimento Flai – è che questo temporeggiare del governo sia legato alla sua volontà di dirottare i 200 milioni verso altri progetti, come la costruzione di nuovi Centri di permanenza per il rimpatrio. In questo modo, verrebbe completamente snaturato il senso dell’intervento. In ogni caso si tratterebbe di un’impresa non facile. Noi stiamo vigilando costantemente sulla vicenda e in ogni zona coinvolta da questi investimenti abbiamo chiesto la convocazione urgente dei Consigli territoriali per l’immigrazione (organismi collegiali presenti in tutte le province e presieduti dal Prefetto, ndr) per discutere della loro mancata erogazione, molti dei quali sono già stati convocati e nei quali, come Flai, abbiamo chiesto l’immediata attuazione dei progetti».
L’altro rischio, più concreto, a cui siamo di fronte, è che questi soldi non vengano anticipati e dunque semplicemente finiscano persi. «Sarebbe veramente inaccettabile – giudica Bellegoni -. Ci troveremmo davanti ad un segnale chiaro di disinteresse del governo nei confronti di una delle misure più importanti del Pnrr in ambito agricolo e, più in generale, verso una piaga inaccettabile che dilaga nelle campagne italiane, quella del caporalato e dello sfruttamento del lavoro».
D’altronde, il gioco di attese e rinvii che vede protagonista questa voce del Pnrr è parte di un sistema più ampio di gestione dell’immigrazione, che pare quasi osteggiare la possibilità per un cittadino immigrato di trovare nel nostro Paese un lavoro sicuro, dignitoso e regolarmente retribuito in agricoltura, così come in altri settori.
«Il meccanismo dei flussi, il principale canale di ingresso regolare di immigrati in Italia come disposto dalla legge Bossi-Fini e dalle successive modifiche, da un lato continua a non garantire un numero sufficiente di persone che vengano a lavorare nel nostro Paese, dall’altro perpetua l’ipocrisia di quella che è in realtà una “regolarizzazione mascherata”», commenta ancora il capo dipartimento Flai.
Poi c’è il tema della mancata trasformazione dei nulla osta all’ingresso, ottenuti tramite decreto Flussi, in veri e propri permessi di soggiorno. Solo una piccolissima fetta dei lavoratori e delle lavoratrici che entrano in Italia grazie al decreto Flussi, infatti, vede stabilizzarsi la propria posizione lavorativa, e dunque giuridica, ottenendo il rilascio del titolo di soggiorno. Mentre per gli altri si prospetta il rischio concreto di finire nel vortice dell’illegalità e nelle maglie della malavita.
A fare il punto sul tema ci ha pensato nei giorni scorsi la campagna Ero straniero, attraverso il monitoraggio contenuti nel nuovo dossier intitolato “Lunghe attese e irregolarità: neanche ‘ritoccato’, il decreto flussi funziona”. Il documento prende in esame i dati degli ingressi per lavoro a partire dai cosiddetti “click day” di dicembre 2023 e marzo 2024.
«Nel 2024 – si legge nel dossier – solo il 7,8% delle quote di ingressi stabilite dal governo si è trasformato in permessi di soggiorno e impieghi stabili e regolari: infatti, sono state 9.331 le domande per l’ingresso di lavoratrici e lavoratori finalizzate presso le prefetture italiane su un totale di 119.890 quote assegnate nel corso dell’anno. Nel 2023 la percentuale è del 13% (16.188 pratiche concluse a fronte di 127.707 quote assegnate)».
Se poi ci riferiamo al passaggio conclusivo, e cioè al rilascio materiale del permesso di soggiorno da parte delle questure «rispetto ai flussi 2023, a un anno dai click day, i permessi effettivamente concessi sono stati 9.528 – prosegue il dossier redatto da Ero straniero – con un tasso di successo della procedura rispetto alle quote che si abbassa al 7,5%».
«Stiamo alimentando bacini di persone che vivranno nell’illegalità – torna a dire Bellegoni -. Per quanto il meccanismo con cui si accede ai click day del decreto Flussi sia stato in parte modificato, e siano state introdotte procedure che dovrebbero rendere più facili ed efficaci i controlli preventivi, ancora siamo lontani dal risolvere il problema».
«Il punto – chiosa il sindacalista Flai – è che c’è un legame tra l’approccio repressivo della Bossi-Fini, i margini con cui si possono aggirare i controlli dei decreti Flussi, il fenomeno inaccettabile del reclutamento di manodopera nei Centri di accoglienza straordinaria per migranti, e così via. Questo legame sta nell’essere del tutto funzionale ad un’economia irregolare che alimenta parte del sistema di produzione agricola, che si fonda sul lavoro grigio e sul lavoro nero, spesso alla base di sfruttamento e caporalato. È un fatto strutturale, che ha dunque bisogno di una risposta strutturale, partendo dall’abolizione della Bossi-Fini e dalla creazione di una nuova ed inclusiva legislazione che regoli le politiche migratorie del nostro Paese».