Secondo Von Der Leyen il Mercosur sarà “l’inizio di una nuova storia”, ma per chi?

Aprire ad un mercato che non vive delle tue stesse regole è davvero un opportunità? 

Le prime trattative per la costituzione della più grande area di libero scambio del pianeta, quella del Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay) e Ue, sono datate intorno alla fine degli anni ’90, primi anni 2000. Esattamente in quella fase storica in cui la convinzione globale prevedeva che sani accordi di libero mercato avrebbero salvato il pianeta da conflitti e guerre. Ora la Commissione europea neoinsediata, fresca di un nuovo mandato la cui politica è a geometria variabile, rispolvera la vecchia dottrina e tenta di riadattarla ai giorni nostri. Le trattative sul Mercosur si chiusero già nel 2019 ma l’aggressività nei confronti di lavoro e ambiente dell’allora governo Bolsonaro spinsero la Commissione a rimandare l’accordo di una trattativa ultraventennale top secret. 

DETTAGLI

Solo ora infatti iniziano ad essere noti i particolari della trattativa. L’iter di ratifica è ancora lungo e molti aspetti verranno probabilmente modificati nei prossimi mesi, sappiamo che l’accordo è trasversale anche sugli appalti e le forniture pubbliche, ma ad ora di fronte a tanti dubbi sul come il Mercosur verrà applicato la certezza riguarda solo due aspetti: il mondo dell’industria sta accogliendo positivamente l’accordo, quello dell’agroindustria no. L’industria accoglie positivamente l’ipotesi di poter scambiare merci con meno dazi e a burocrazia semplificata in un mercato di centinaia di milioni di persone dove attualmente l’industria dominante è quella cinese. L’agricoltura, invece, ha la sensazione di essere la vittima sacrificale dell’ennesimo tentativo di Von Der Leyen di recuperare un po’ di terreno internazionale dopo anni in cui l’Ue è stata marginalizzata dai processi. Come se si volesse anticipare l’isolazionismo dell’American First trumpiano con un accordo commerciale col Sud America.

DUBBI

Da sindacato la domanda centrale che ci poniamo è: quale vantaggio reale ci sarà per i lavoratori? Un accordo figlio di decenni di trattative top secret, per chi è davvero un vantaggio? La nostra impressione è che se questo accordo genererà nuova ricchezza ci sono poche possibilità che questa venga ripartita tra i lavoratori europei e sudamericani. Non ci imbarazza l’idea di un accordo di libero scambio, ci imbarazza non ci sia corrispondenza tra i modelli produttivi. Oltre il 30% dei pesticidi usati in Sud America in Europa è vietato, è per questo che è stato prolungato l’utilizzo del glifosato? Ci chiediamo cioè se l’idea sia di estendere l’utilizzo dei pesticidi attualmente vietati anche in Europa o di “imporre”, se mai il trattato avesse questa possibilità, il divieto nei paesi del Mercosur.

Oggi la deforestazione in Sud America non passa più dagli incendi ma dall’ingente utilizzo di sostanze chimiche. In una settimana con alcuni degli agenti chimici per l’agricoltura che l’Ue esporta in Sud America per svariati miliardi di euro, si possono rendere coltivabili centinaia di ettari di foresta pluviale, col paradosso che gli stessi agenti utilizzati in Europa sarebbero vietati. Che senso ha dunque da una parte sostenere la farm to fork, il sostegno agli ecoschemi, finanziare la biodiversità, se poi si tollera questo tipo di modello produttivo?

INSOSTENIBILE

A pochi mesi dell’avvio della scrittura della nuova Pac il dibattito è totalmente incentrato sul sostegno al reddito degli agricoltori e l’attuazione di questo nuovo accordo di libero scambio che potrebbe inondare il mercato europeo di commodities agricole a basso costo. La connessione tra i due aspetti è palese e come rappresentanti delle lavoratrici e dei lavoratori la nostra paura aumenta. Sostenere il reddito degli agricoltori vuol dire curare il sintomo ma non la malattia: l’agricoltura intensiva ed estrattiva così come oggi è finanziata e legislativamente agevolata non è sostenibile. L’apertura al mercato agricolo di Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay come dovrebbe curare un paziente già da anni malato?”

FERMIAMOCI

Dunque, le contraddizioni economiche, lavorative e ambientali sono sotto gli occhi di tutti. L’impressione è che questo accordo garantirà il sacro dio del libero scambio ma polarizzerà ancora di più la ricchezza nelle mani di pochissimi che già ora sfruttano il lavoro di milioni di donne e uomini in Europa e Sud America. L’imposizione dell’accordo tradisce inoltre l’incapacità delle più importanti istituzioni europee ad un’irrimandabile necessità di trasparenze e partecipazione alle scelte che riguardano le persone, i cittadini e i lavoratori. Il progressivo aumento dell’astensionismo elettorale è legato all’impressione che niente possa influire su scelte prese nell’interesse di pochissimi. Nella stessa direzione procede il crollo della fiducia dei cittadini europei nei confronti delle istituzioni: è davvero opportuno imporre un accordo che è stato secretato per vent’anni ad un continente in cui la paura del futuro e il timore di crisi internazionali e ambientali portano al dilagare dell’estrema destra? Serve democrazia e partecipazione reale, serve un’Europa politica che ascolti, non che imponga regole nel nome della libera concorrenza.

Andrea Coinu

Capo dipartimento politiche europee ed internazionali Flai Cgil nazionale

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