Sindacato di strada in Sicilia, per dire no a caporalato e sfruttamento

Tre i pulmini in moto durante la settimana. Una quarantina i sindacalisti e gli attivisti all’opera, sin dalle prime ore del mattino. Il racconto dell’impegno delle “Brigate del lavoro”, mobilitate nelle zone del catanese, ragusano e siracusano

“Se ci ribellassimo al padrone, se ci mettessimo a chiedere individualmente che siano rispettati i nostri diritti, verremmo mandati a casa alla svelta, senza essere richiamati”. È solo una delle tante voci di lavoratrici e lavoratori delle campagne raccolte in questi giorni dalle Brigate del lavoro della Flai Cgil, impegnate nelle attività di sindacato di strada in Sicilia. Obiettivo: intercettare, ascoltare e informare chi è più difficilmente raggiungibile dal sindacato, chi è più vulnerabile e sottoposto a condizioni di lavoro ingiuste e inaccettabili.

Dopo l’impegno profuso nell’Agro Pontino, nel foggiano e nel veronese, in questa occasione i pulmini della Flai hanno battuto il territorio della Sicilia Orientale. Dapprima Vittoria, Comiso e Acate, nel ragusano, dove le serre tappezzano le campagne senza soluzione di continuità. Poi Lentini e Scordia, a cavallo tra catanese e siracusano, dove l’agrumicolo la fa da padrone. Infine Paternò e Adrano, nel catanese, economie agricole anche qui votate alla coltivazione delle arance. La cui raccolta si sta avviando, facendo accorrere braccianti anche da altri territori.

Tre i pulmini in moto nella settimana, una quarantina le compagne e i compagni della Flai all’opera, diversi dei quali giunti qui da altre zone d’Italia, come sempre accade per le tappe della campagna “Diritti in campo”, quando Flai catalizza le forze di tutta l’organizzazione nelle attività di sindacato di strada in una particolare zona del Paese.

“Veniamo pagati a cottimo, in base a quante casse di arance riusciamo a raccogliere” ci racconta un ragazzo, in una delle piazze di Scordia dove la mattina presto, prima dell’alba, fanno tappa i furgoncini per caricare i lavoratori e partire verso i campi. “Le giornate che ci vengono segnate non sono mai quelle reali”, commenta un altro giovane. Ad entrambi le Brigate della Flai consegnano un giubbotto catarifrangente, un flyer con le info sulla paga base così come fissata dopo il recente rinnovo del contratto provinciale agricolo, e un dépliant con gli indirizzi delle sedi del sindacato a cui potersi rivolgere. Tra una chiacchiera e un’altra, i lavoratori hanno modo di confrontarsi tra loro e di raccontare ai compagni della Flai i loro problemi, le loro frustrazioni e pure le loro speranze.

Le terre in cui sindacalisti e attivisti delle Brigate hanno operato in questi giorni non sono certo una zona “facile”. Lo scorso 4 febbraio, in un’area di servizio di Paternò, Mohamed Mouma, 26enne originario del Marocco, è stato accoltellato a morte per questioni legate al caporalato. Una videocamera di servizio ha registrato la scena. Il 2 luglio 2022 ad Acate Daouda Diane, mediatore culturale della Costa d’Avorio, è scomparso nel nulla dopo aver denunciato le proprie condizioni di lavoro all’interno di un cementificio.

Se guardiamo ai numeri, la Sicilia è prima in Italia per superficie agricola utilizzata e per numero di occupati. Il profilo sociale di chi è occupato nelle campagne della regione, secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai, è quello di un “lavoratore di origine straniera, a prescindere dall’area geografico-territoriale di provenienza, occupato part time, principalmente nel comparto orto-frutticolo con mansioni di raccolta con un contratto stagionale per attività definite (di raccolta, appunto) prevalentemente con contratto regolare, ma con una retribuzione non conforme per quasi la metà delle volte”. Lavoro grigio, insomma.

Sono quasi 62mila, infatti, le lavoratrici e i lavoratori irregolari in agricoltura nella regione, di questi oltre 47mila sono italiani e più di 14 mila stranieri, come ha ricordato nei giorni scorsi la campagna SiciliaSfruttaZero, piattaforma anti caporalato creata da Flai Sicilia e altre associazioni. Sono ben 53, inoltre, le aree di sfruttamento nell’isola individuate dall’Osservatorio Placido Rizzotto. Se guardiamo alle inchieste aperte per sfruttamento lavorativo in agricoltura, sono 252 quelle rilevate nel Mezzogiorno a fronte delle 432 a livello nazionale, tra il 2011 e il 2023. Alla Puglia (99 casi), segue la Sicilia (62 casi).

Insieme ai sindacalisti della Flai, come sempre accade col progetto Diritti in campo, ci sono anche attivisti e attiviste del mondo del Terzo settore. In questa occasione, a dare il proprio contributo, oltre alla delegazione della campagna Sbilanciamoci!, c’è Simona Favara dell’associazione Penelope, realtà in prima linea nella lotta alla tratta di esseri umani e allo sfruttamento sessuale e lavorativo, che lavora quotidianamente in stretta collaborazione con la Flai.

A Catania, su spinta dell’associazione, è stata aperta la Casa sociale delle donne. Lì, Penelope gestisce il progetto “Polifemo”, in collaborazione col Centro Astalli. Scopo dell’iniziativa: “contrastare lo sfruttamento lavorativo e il caporalato, offrendo assistenza e tutela ai migranti vittime o potenziali vittime di sfruttamento”. Il progetto prevede la creazione di una rete di sportelli e uffici nel catanese, per supportare percorsi di denuncia e regolarizzazione. Inoltre, Penelope attiva specifici programmi di protezione per le vittime stesse. “Sono arrivato qui da ‘clandestino’, lavoravo in nero e ho avuto un incidente. Penelope mi ha dato un aiuto fondamentale per ottenere i documenti” racconta ai militanti delle Brigate uno dei 16 ragazzi ospitati in una delle case protette gestite dall’associazione.

Leonardo Filippi

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